Alessio Chiadini Beuri: Una nuova geometria

mercoledì 13 novembre 2019

Una nuova geometria





Mi accorsi che l’allarme sonoro collegato con la polizia non era in funzione soltanto quando mi accostai alla porta blindata e quello cominciò a martellarmi nelle orecchie. Da quel momento in avanti avrei potuto rannicchiarmi in un angolo ed aspettare che arrivasse la cavalleria e li spingesse verso l’unica via di fuga. Dietro di me, però, avevo lasciato tramortiti i due scagnozzi che, ora che fossero arrivati i ragazzi in blu, avessero capito con cosa avevano a che fare e avessero imbastito un negoziato, avrebbero potuto riprendersi e infilarmi in un sandwich difficile da digerire. Tanto valeva andarsi a cercare la gloria.
Al centro del secondo ambiente c’erano due lunghe scrivanie con tutti i pulsanti che servivano ad aprire le porte blindate, attivare allarmi silenziosi, interrompere i flussi d’aria a piacimento nei depositi e nelle camere di sicurezza. Non ero al corrente delle misure anti-rapina della Trust Federal Bank ma mi preparai al fatto che i rapinatori avessero trovato un paio di fucili a pompa e tazer da spararmi in faccia. Quello di cui ero certo era che mi stessero aspettando.
Le porte delle altre due camere blindate erano chiuse.
Feci saltare il monitor di uno dei computer che prima di spegnersi sfrigolò per un’ultima volta. Una cascata di frammenti cadde oltre il bordo del tavolo. Niente, nessuna reazione. Non una testa a fare capolino oltre l’orizzonte del banco a guardare il tramonto. Persuaso che non si fossero accorti delle mie attenzioni sparai direttamente al corpo delle scrivanie all’altezza di dove uomini inginocchiati avrebbero avuto la testa e gli organi vitali, certo che la Desert Eagle ne avrebbe attraversato il legno come burro. Una misera manciata di colpi in sequenza furono quello che ci voleva per farli incazzare. Sbucarono insieme dal nascondiglio facendomi piovere addosso quanto più fuoco avessero. Riparai dietro il cardine d’acciaio della porta del caveau aspettando che fossero costretti a ricaricare. Il che avvenne all’incirca un minuto e mezzo dopo. Uno dei due aveva un fucile d’assalto AK47 mentre, dal rumore, l’altro vomitava collera con un Remington calibro 12, un fucile a pompa cattivo come pochi. Il fucile aveva già ricaricato tre volte ma dovetti aspettare quello d’assalto per non essere segato a metà come una sequoia. Da un minuto e mezzo li avevo persi di vista, potendo capire dove si trovassero soltanto dalla direzione degli spari e dal frastuono, comunque sporcato dell’eco tremenda del caveau.
Per quel motivo mi affacciai e sparai alcuni colpi esplorativi prima di tornare a coprirmi. Quello col fucile a pallettoni non perse la ghiotta occasione e mi sguinzagliò dietro un paio dei suoi cuccioli. Risposi ma con il colpo di rientro riuscì solo a mancarlo di cinquanta centimetri. Il fucile a pompa però era lento e ingombrante così, un attimo dopo essermi riparato, rispuntai ricambiando il favore. Lo presi alla spalla, che divenne una massa informe di carne trita. Nel frattempo l’AK47 era stato ricaricato ed era tornato a suonare. Fu quello a distrarmi e a graziare il rapinatore con il Remington. Dovetti gettarmi a destra, perdendo definitivamente la protezione della porta e rimanendo in una landa desolata senza ripari. Mentre quello con la spalla maciullata urlava lasciandosi cadere di mano l’arma, all’altro non restava che falciarmi come una spiga di grano. E ce l’avrebbe fatta se un bossolo non fosse rimasto bloccato a metà del meccanismo di espulsione. L’uomo bestemmiò provando ad azionare il caricatore ma io non ero per gli scontri alla pari e non aspettai che fossimo tutti pronti.
«Da bravo, dì “cheese!”»
Un colpo in fronte, testa che veniva spinta con violenza all’indietro e un uomo che si affloscia come un burattino a cui vengono tagliati i fili.

Mi avvicinai a quello ancora vivo allontanando il fucile con un calcio.
Batsy Jones, il Papa.
Ed ecco che le rondini erano appena diventate due. Batsy era così vicino a Lupino da esserne un’emanazione. Mi sputò addosso e io, per ricambiare la cortesia, gli affondai il tallone nella spalla. Ne fu così contento che perse i sensi. Sorrideva, ma poteva anche trattarsi di una smorfia di dolore. In quel casino, con l’allarme che urlava a tutto spiano e il suono degli spari che rimbombava ancora da un orecchio all’altro mi stupì di sentire il telefono squillare.
Chi poteva essere? Il fattorino della pizzeria?
Seguì la fonte dei trilli e girai attorno alla console di controllo. Trovai il telefono e risposi:
«Dal vivo. Direttamente dalla scena del crimine.»
«Chi parla?»
«Posso saperlo anch’io?»
«Viceprocuratore Jim Bravura della polizia di New York. Dovete interrompere ogni attività criminale e arrendervi immediatamente.»
«Certamente Jim. Ne ho parlato coi ragazzi e siamo tutti molto dispiaciuti. Non lo rifaremo più.»
«Chi diavolo sei?»
Trovarsi invischiato in una rapina in banca non avrebbe certo giovato alla mia reputazione così riappesi cercando il modo di uscire da lì. Di fronte a me, accanto alle porte dei depositi aurei, c’era una camera blindata contrassegnata dalla lettera “C”. Gli amici stesi a terra mi avevano già risparmiato la fatica di aprirla. Non potevo andarmene senza conoscere il motivo di quel casino.
Al centro della stanza campeggiava un tavolo di vetro su cui c’erano due cassette di sicurezza, vuote, e il loro contenuto sparso sul piano. I rapinatori non avevano avuto il tempo di prenderlo per colpa della mia intrusione. Erano incartamenti azionari. Li studiai per qualche secondo. Si trattava della AESIR Corporation. Il successo di cui stava godendo in quei giorni veniva decantato ogni minuto sulle reti televisive nazionali e nelle principali testate finanziarie del paese. Dato che non potevo star lì a gingillarmi troppo, o mi sarei trovato presto nelle docce di Rikers Island a trastullare un nerboruto e irascibile compagno di cella, lasciai i titoli azionari e passai in rassegna la stanza.
Dietro al profilo del tavolo, avevano abbandonato un borsone di tela. Attraverso l’apertura spuntava una grossa scatola di latta con un paio di bei bottoni incoronati da una lucetta rossa. Sotto la scatola intravidi dei panetti di C4, come nella cornucopia del provetto terrorista. Quello aveva tutta l’aria del detonatore mancante alla porta d’acciaio nell’ala dismessa della metropolitana. Probabilmente si trattava di quello di scorta, nel caso in cui al primo fosse successo qualcosa. Quel qualcosa in effetti era successo: Max Payne.
Raccolsi la scatola magica e lasciai l’esplosivo alla polizia che stava per soffiare e sbuffare e fare irruzione nel caveau. Non avrei potuto uscire illeso dalla banca, né era saggio tentare la sorte ripercorrendo il sentiero di molliche di morti male che avevo lasciato nella metro. Non mi sembrò una così brutta idea riciclare il piano degli amici con il passamontagna e la passione per le scalate in borsa. Tornai nel deposito da cui ero venuto e raggiunsi la porta scavalcando i due sopravvissuti. Quello con le mani di pasta frolla che aveva fatto cadere il primo detonatore stava rinvenendo ma il mio tallone ribadì il concetto spiegandoglielo tra lo zigomo e la tempia. Piazzai il detonatore e collegai i fili all’innesto del C4, regolai la manopola del timer su dieci secondi e feci partire il conto alla rovescia. Il led si accese, rosso come l’estremità dell’ultima sigaretta di un condannato a morte, e mi fissò, forse domandandosi che ci facessi ancora lì. Mossi il culo, afferrai per la giacca un rapinatore e per il fondo dei pantaloni l’altro e li trascinai con me a distanza di sicurezza.
Intanto un BIP BIP usciva dalla scatoletta e se prima aveva cominciato con moderazione, nel giro di pochi istanti aveva iniziato una corsa frenetica fino a che fu impossibile distinguere un BIP dall’altro. Abbassai la testa, per istinto, ma lo spostamento d’aria dell’esplosione mi avviluppò la giacca attorno. Quando il fragore raggiunse il culmine fui costretto a inginocchiarmi. Fu come una pugnalata nel cervello. Negli spazi chiusi e con molta eco era consigliato evitare rumori eccessivi.
Purtroppo per me, non avevo degnato di uno sguardo il foglietto illustrativo.
La temperatura raggiunse il calore giusto per immaginarsi come sarebbe stato essere cremati vivi. Poi l’esplosione si disperse, risucchiata dalla nuova geometria del posto.
Quando tutto tornò tranquillo mi guardai oltre la spalla. Un fumo nero e denso ingombrava la vista e il respiro. Mi protessi gli occhi con la mano sapendo che avrebbero bruciato lo stesso. I polmoni si riempirono di cenere, polveri e sostanze chimiche altamente nocive. Le spinsi fuori da me con un paio di secchi colpi di tosse mentre avanzavo nella fuliggine. Che uomo!
Trovai un varco e la nebbia si diradò a poco a poco. Ero di nuovo nella metropolitana. Bell’affare davvero.



Puoi scaricare l'intero romanzo (.MOBI, EPUB) per il tuo E-Reader e il PDF per avere la tua personale copia cartacea!



Inserisci la tua mail e scegli il tuo formato!
 
                                                                             


Dopodichè, oltre ai file, riceverai anche i link per ascoltare i tre capitoli dell'audiolibro prodotti insieme a Casanova&Loreti. Il progetto è quello di realizzare l'intero romanzo e così ho pensato a una piccola compagna crowdfunding sulla piattaforma Ko-fi.
L'audiolibro sarà disponibile a tutti in forma gratuita!
Basta davvero poco!


Clicca QUI!

 





Nessun commento:

Posta un commento