Alessio Chiadini Beuri: Dentro il libro e oltre: Nostàlgia

venerdì 23 luglio 2021

Dentro il libro e oltre: Nostàlgia

 


Con il capitolo “Nostàlgia” andiamo a completare, prima di tutto, già il quarto volume della colonna sonora di “Chi più Re di noi” (poi ne mancheranno ancora quattro, non preoccupatevi). In secondo luogo, il titolo viene da una pubblicità di qualche anno fa che riproponeva il brano di un’intervista rilasciata da John  Lennon in cui si chiedeva il perché di tutta questa nostalgia per il passato, che in quanto tale non sarebbe più tornato, e perché non cercare, invece, nuovi modi di fare le cose e vivere nel momento in cui si è. 

Esattamente quello che non sono mai riuscito a fare nella mia vita, sempre proiettato, come il personaggio di Owen Wilson in Midnight in Paris, a un passato dorato in cui vivere sarebbe stato più facile e più magico. Ce l’ho la sindrome de “l’epoca d’oro”, su di me potrebbero scrivere dei manuali ma sono anche convinto che siamo in tanti, là fuori. È lo stesso motivo che ci spinge a ripensare di rimetterci con una nostro ex: è perché abbiamo dimenticato la quotidianità della relazione e ricordiamo soltanto le atmosfere e le sensazioni piacevoli. Il tempo lava via le macchie, sfuma i contorni e si rende appetibile e desiderabile, come una milf tutta in tiro.


Ho chiesto aiuto a John Lennon per farmi da ambasciatore in questo capitolo interamente dedicato alla musica e al potere salvifico che ha nella mia vita e in quella di milioni di altri. 

La musica, in casa mia, c’è sempre stata. Sono cresciuto ascoltando principalmente i Queen, i Dire Straits, i Genesis, gli Spandau Ballet e una marea di artisti di cui mio padre preparava le compilation per quando andavamo in ferie e che si ripetevano decine e decine di volte, in un loop infinito, nello stereo della macchina. L’unico gruppo che non ho mai sopportato dei gusti musicali di mio padre sono stati i Depeche Mode, per il resto assorbivo tutto e trattenevo ritmi e atmosfere musicali come una spugna. Tutto questo però era un fruire di musica in maniera totalmente passiva e condizionata da fattori esterni, non ero io che sceglievo o decidevo in quale territorio andare a procacciarmi il cibo. Un timido tentativo l’ho fatto un lontanissimo giorno di quella prima metà degli anni 90’ quando chiesi ai miei di comprarmi qualcosa degli 883 e sul palmo della mia mano tesa mi offrirono Rotta X casa di dio REMIX, di cui ora non ricordo bene la composizione se non la fine che ha fatto: dimenticata inconsapevolmente in macchina in una mattina soleggiata di una caldissima estate, quando tornai il calore del giorno l’aveva piegata/incurvata come una patatina, rendendola inservibile. La tristezza.


Molti si dividono tra Vascorossiani e Ligabuensi (non ho controllato se abbiano altri nomi) ma per me non c’è mai stato dubbio: 883 tutta la vita e poche fisime. Solo io so quanto Max mi abbia fatto compagnia durante i viaggi in autobus delle elementari, io che vomitavo come la bambina dell’esorcista una curva sì e l’altra pure. Quando scoprì che infilare due cuffie nelle orecchie e far partire qualche bella ballata che parlava di viaggi con gli amici o di conquistare la ragazza dei tuoi sogni mi aiutava a smettere di fare il geyser umano, da quel giorno, ovunque dovessi andare, io ci andavo col Walkman!


Il Walkman, sì. Quello c’era. C’ho un’età.

In ogni caso non siamo ancora arrivati a quel punto della storia in cui c’è un clic nella mia testa e la mia capacità uditiva fa un balzo in avanti di secoli di evoluzione. Quello capitò qualche anno dopo, quando facevo le medie e mi sedevo a tavola con la mia tazza di latte al cioccolato e cereali e TMC2 alla tv (esatto, MTV sarebbe arrivata solo più tardi, con grande mestizia). Quando vidi per la prima volta il videoclip di Learn to fly dei Foo Fighters fu come se le orecchie mi si stappassero e io scoprissi i suoni. 


Non so bene in che altro modo spiegarlo. Venni folgorato, oltre che da Dave Grohl che gigioneggiava con un ventaglio di personaggi e trasformazioni come il mio idolo Jim Carrey, anche da quella musica. Da quel giorno non mi sono più fermato e continuo a saziarmene, avvelenato da un bisogno primario di scoprirne sempre di nuova (nuova per me) e dall’impossibilità di staccarmene. Ecco anche spiegato perché Chi più Re di noi è il primo romanzo al mondo ad avere la sua colonna sonora di quasi 100 brani
Ma eccoci arrivati al punto in cui vi spiego perché siamo qui. 
Come sappiamo da Midnight in Paris/Sogno di una notte di mezz’inverno il Capodanno di Enrico con Alena non è stato proprio all’altezza delle sue aspettative ma non per questo il nostro eroe è deciso a mollare l’osso. Anche se Alena non è l’inquilina del terzo piano, come tutti avevano previsto tranne Spanky, e una delle sue amiche gli abbia vomitato addosso a fine serata, la ragazza gli piace davvero. Così tanto da regredire a quando aveva dodici anni e una consapevolezza di se stesso e delle dinamiche della vita pari al vuoto cosmico: ha deciso di farle un cd contenente le sue canzoni preferite.
Okay, calmatevi. Lo abbiamo fatto almeno una volta tutti. Io l’ho fatto molte più volte della media ma solo perché ho tanti brani al mio arco e molte storie di conquiste mancate da raccontare. È solo questione di attitudine, perseveranza e allenamento. Credo che la cosa cominci a degenerare quando, di quei cd, ti occupi tu stesso di creare una copertina, arricchendola dei testi delle canzoni come inserto, e delle foto di vuoi due photoshoppate dentro la folla di un concerto.
Messner ha scalato l’Everest ma io ho fatto anche questo. E non mi vergogno.


Messner ha scalato l’Everest ma io ho fatto anche questo. E non mi vergogno.
Comporre un mix di canzoni ci rende la vita facile quando non abbiamo ancora sviluppato la capacità di raccontare noi stessi a parole e vogliamo comunque che quella persona speciale ci guardi dentro e, se siamo particolarmente fortunati, ci accetti per quello che siamo. Alla mia veneranda età, comunque, non ho ancora messo un punto all’annosa questione che per essere amati dobbiamo essere noi stessi fin dal primo minuto di conoscenza, coi nostri pregi e, soprattutto, con i nostri difetti, o è necessario modificare il registro in base a chi ci troviamo davanti. Da un lato, sei sicuro che chi rimarrà nonostante tutto il tuo discutibile essere, possa provare un interesse genuino, ambasciatore di una felicità serena e distesa; nel secondo caso, invece, c’è la possibilità di un’altra occasione, di una lenta conoscenza, di una scoperta cauta e un’accettazione graduale. Non mi so davvero decidere, lo ammetto, anche se, per indole, appartengo a questa seconda casisitica. Siamo esseri troppo complessi da poter abbracciare con un sola, sfuggente occhiata. Siamo come il sugo di nonna: molto più buono il giorno dopo.


Quello che ho imparato è che i nostri sentimenti li dobbiamo proteggere, non possiamo scialacquarli come Di Caprio a bordo del suo Yacht. 




Spanky è al lavoro su questo “progetto” da una settimana, e la cura che ci mette è giustificata dal fatto che ogni canzone porta una storia, un aneddoto, una pillola di “Chi sono” dai potenti benefici (”Sei tutto quello che ho sempre sognato”) e dai devastanti effetti collaterali (”Sparisci, microbo!”) e non può certo permettersi di cannare.
Le nostre canzoni preferite sono come Horcrux: c’è un pezzo della nostra anima in ciascuna di esse.


Si comincia:

1)  Take a picture, Filter:



Non c’è video che abbia visto più volte. Quando il videoregistratore era l’unica arma a disposizione di un pivello, vergine di concerti e rock, passavo pomeriggi interi a registrare videoclip. Quando penso a quegli anni questa è la prima canzone che mi viene in mente. Comincia con un asteroide infuocato e un giro di chitarra acustica. Alla fine degli anni ’90 la moda erano i pizzetti e i capelli ossigenati, si guardava all’anno 2000 come al crepuscolo e, dentro una cupezza da fine secolo sullo sfondo, andavamo incontro al Millennium Bug con stile.

2) Why does it always rain on me, Travis:



Un uomo chiuso nel bagagliaio di un’auto parcheggiata in mezzo ai fiordi. All’inizio è inquietante, poi il tutto migliora sulla carcassa di una pecora morta. Mi ci sono sempre trovato in questa canzone, forse per il fatalismo che mi pervade tutto fin dall’alba dei tempi. Un testo che esplicita la domanda per eccellenza di un teen-ager che sta cercando capire cos’è il mondo, come percorrerlo, come dominarlo: perché capitano tutte a me?


3) Pink!, Aerosmith: 



La prima volta su un aereo, la prima volta fuori di casa, la prima volta dall’altra parte della carreggiata. A differenza del titolo, quando la ascolto, davanti ai miei occhi c’è solo il Verde. Il verde del Sussex e delle pianure inglesi, i colori di un’altra terra, l’inizio della strada che mi ha portato ad essere ciò che sono. Il Bedgebury College con i suoi prati intonsi, la sua atmosfera da antico maniero e le battaglie in riva al lago sotto la grande quercia. Pink, it was love at first sight è forse una delle uniche frasi di senso compiuto che il mio stentato inglese era riuscito a comprendere. E quante volte mi sono innamorato in quella vacanza. La prima volta che vedi un seno, e a due centimetri dal tuo naso, per giunta, te lo ricordi. Anzi, non riesci più a togliertelo dalla testa. Grazie, pazza ragazza del corridoio Est.





4) Uptown Girl, Billy Joel:



Non sapevo chi era Billy Joel e sinceramente non mi sono posto il problema per un sacco di tempo. Vedasi il viaggio poco sopra: di questa canzone ne avevo solo un breve frammento, alla fine del lato B del nastro. Tanto è bastato per segnarmi a vita. Se con gli Aerosmith sono atterrato, con Billy Joel ho dato un addio che sapeva di arrivederci ad un'esperienza stupenda. Di questo pezzo non ho mai capito una sola parola a parte Girl, ma la musica, in fondo, è come una poesia o un quadro astratto: non è necessario comprenderla a fondo per amarla. E se la musica, la poesia o la pittura ti permettono di sposare una donna come quella nel video (futura ex-moglie di Billy-non-proprio-bellissimo-Joel) chi sono io per oppormi?

5)  Again, Lenny Kravitz:



Cominciano i problemi di cuore. Matricola al liceo e matricola in amore: un connubio che non si sposa. Il figlio della mamma dei Robinson non è legato a nessuna donna particolare della mia vita. Piuttosto a un mood. Che è peggio. Quel mood angoscioso e malinconico per cui si passano le giornata stesi a letto, a guardare fuori dalla finestra e pensare, pensare, pensare a Lei. Una lei non sempre ben definita ma piuttosto frutto di una fantasia di felicità sentimentale in loop costante come un Sisifo d’amore qualunque. Cominciamo a trascurare la nostra igiene personale, vaghiamo come non-morti trascinandoci con le mutande a mezza chiappa da una stanza all’altra della casa, aprendo il frigo ogni trenta secondi e rimanendo a fissarlo ogni volta per non meno di un minuto e mezzo. Mi sono buscato una sbadilata di raffreddori in questi momenti “depression”. E a cosa si pensa se non c’è una donna che ci ha fatto sanguinare? Proprio a questo: che nessuno ci ha spezzato il cuore e straziato l’anima perchè quel nessuno non esiste. Si pensa alla ragazza perfetta, quella che incontriamo tutti i giorni, su cui fantastichiamo da mesi e di cui crediamo esserci infine innamorati. Lo so, la mia vita sociale era in coma.

6) I’ll never fall in love again, Elvis Costello & Burt Bacharach:



Una dolcissima canzone che la mia generazione associa ad un film leggenda e ad una protagonista straordinaria. Il primo è Austin Powers 2 e la seconda è la divina, biondissima Heather Graham. Non ho nessuna esperienza associata a questo pezzo se non l’intesa ad occhi lucidi coi miei compagni di classe quando ripensavamo alla scena del film e alla celestiale visione di quel decolté in movimento. Il meraviglioso spettacolo dell’armonia prodotta da due seni che si sfregano. Una sinfonia lunga poco più di dieci fotogrammi. Se Dio c’è, eccolo lì.




7) Another day in paradise, Phil Collins: 




Primo anno di liceo. Ricevevo stimoli sessuali ogni volta che voltavo la testa. Forse la mia vecchia scuola si trovava sulla bocca dell’Inferno con atrio luminoso e balcone su Girone dei Lussuriosi. La frequentavano gli esemplari più belli della specie umana. Creature divine protette dagli esemplari più stronzi che l’umanità avesse mai cagato fuori. I perni che tengono insieme l’universo sono proprio loro: il quarterback e la cheerleader. In ogni caso, quando ascolto questo Phil Collins l’orologio comincia a battere le quattro del pomeriggio e io mi trovo a scendere dalla macchina del nonno. In silenzio percorro tutto il piazzale della scuola, me lo godo in pace. Ho un vecchio giubbotto di mio padre che metto perchè pieno di toppe che fa tanto Top Gun, ho un paio di Jeans aggiustati così spesso che di originale forse restano i passanti della cintura e ai piedi un paio di Nike bianche di un numero più piccolo e a cui manca uno strato di suola lasciato chissàdove chissàquando



Non mi importa, mi piace così. Sono dentro la scuola, salgo le scale, raggiungo l’aula ed entro. La cerco con gli occhi senza farmi scoprire: lei c’è. Fantastico. Di Lei ricordo solo il grande tatuaggio che aveva sulla schiena, appena sopra i pantaloni che, generosi, me lo lasciavano ammirare. Ballava, anche questo ricordo, pattinava e non aveva idea che esistessi. Ma a me non importava. Mi bastava averla intorno un paio d’ore ogni tanto. Ci sono certi individui che, appena nati, andrebbero affogati in una tinozza, me ne rendo conto. Gli si risparmierebbe una vita di crudeli sofferenze autoindotte. Bhè, Lei era il motivo per cui, alla festa di carnevale, mi sono ritrovato davanti all’intera scuola con addosso soltanto le mutande di Robbie Williams in Rock D.J.




8) Who can it be now - Men at work: 




Il malessere giovanile: non stare bene nella propria pelle e ancor meno a contatto con quella di altri. Certi ragazzi vogliono solo rimanere lì dove sono, non perché odiano tutto il pianeta e lo vorrebbero radere al suolo, ma perché sono loro a non essersi ancora trovati. Cacciare via tutti, rimanere coi propri pensieri, isolarsi da ogni cosa, sia essa bella o terribile non ha rilevanza: non si è degni né dell’una né dell’altra. Non meritiamo di essere felici e non abbiamo fatto nulla per avere il mondo contro. Indugiamo in un limbo ai confini della realtà con una preghiera che risuona in testa come un grido disperato: lasciateci in pace!






Chi più Re di Noi: la ragazza che ascoltava i Guns N' Roses

Editore: Andaluso Errante Books
Prima Edizione: Dicembre 2016
Seconda Edizione: Ottobre 2020
Genere: Narrativa Contemporanea


Quarta di copertina: "Bologna. Una nuova ragazza è venuta ad abitare nell’appartamento sopra a quello di Enrico, Tette’ e Zanna, solo che nessuno l'ha ancora vista. Il primo si è convinto che si tratti della donna della propria vita ed è deciso a incontrarla, il secondo si è offerto di curarne l'irrequieta smania di svegliarli nel cuore della notte facendole assaggiare un po' del toro da monta qual è, l'ultimo non è sicuro che il fantasma dello zio morto in quella casa la lascerà in pace.
Cecilia e Virginia alzano gli occhi al cielo"


NB: da qualche giorno è disponibile anche la variant cover dedicata a John Belushi e Animal House!
Costa solo 1.50 in più rispetto alla classica perché è in copertina rigida!



Qualche Recensione:



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