Alessio Chiadini Beuri: nel vuoto

giovedì 14 novembre 2019

nel vuoto





Strofinai la nuca nella neve per scoraggiare la febbre che sentivo avanzare. Dopo quello che fu un lungo minuto di riposo mi tirai a sedere, la schiena appoggiata al muretto, le pistole fumanti accanto a me, in mano il flacone di aspirine che si svuotava a vista d’occhio. Una, due, tre pilloline della felicità sparirono in gola.
Cercai di avvistare Vinnie. Niente da fare. Ero stato troppo lento a sopravvivere. Mi toccava di nuovo seguire il sangue dentro quel sentiero oscuro, gelido e frondoso.
Un attimo ancora, però, Max.
Vinnie non sarebbe rimasto senza sangue almeno per un’altra mezz’ora e non avrebbe trovato un medico almeno per il doppio. Potevo concedermi qualche altro istante di vacanza.
Istante che terminò bruscamente quando, sospinto di qua e di là dal vento, non scorsi una pallina di carta zuppa d’acqua e sangue.
Era a pochi metri da dove Gognitti si era calato giù. Mi allungai prima di perderlo per una folata più convinta. Ignorando gli acciacchi lo srotolai. Si trattava di una lettera che Gognitti aveva scritto di proprio pugno ma che non aveva avuto il coraggio di terminare.

“Jack è andato fuori di testa. Ieri ha sparato a Dino solo per il gusto di scoprire come il cervello sarebbe schizzato sulla parete. È un serio pericolo tanto per i nostri quanto per il nostro business.”

Gognitti viveva nell’incubo mortale del suo diretto superiore. Jack Lupino era uno psicopatico. Immaginai Vinnie correre terrorizzato. Sapeva dove trovare il suo capo e io avevo un conto in sospeso con Jack Lupino. Gognitti non avrebbe perso tempo. Non so per gli angeli, ma per gli uomini è la paura che mette le ali.
La piantai di poltrire e di buona lena mi rimisi in marcia. Scesi per due rampe della scala antincendio, dopodiché Vinnie aveva deciso di darsi al parkour perché le tracce proseguivano sul tetto adiacente, qualche metro più in basso. Se c’era riuscito un esagitato, nevrotico come lui, tenuto assieme da massicce dosi di stupefacenti e ansie, io avrei potuto arrivarci anche volando su una scopa. Atterrai rotolando sulla spalla sana. La neve attutì la caduta raccogliendosi in una cunetta che mi fece da cuscino.
BLAM!
Un fucile a canne mozze crepitò troppo vicino.
Lontano, il ritmo rassicurante della ferrovia si mescolò al sibilo del vento.
Alzai lo sguardo ed eccolo là: Gognitti aveva fatto ancora meno strada di quanto avessi immaginato. Non avevo considerato che avesse come zavorra un fucile come quello. Aveva aspettato che fossi stato a tiro, sapendo di non poter fuggire abbastanza in fretta. Ma era stato troppo precipitoso e mi aveva mancato di mezzo continente.
«Dove te ne vai senza salutare? Non è carino!»
Vinnie rispose mandandomi a farmi fottere. Correva scomposto come un autistico in preda a un attacco di quelli seri.
«Ti sei di nuovo ficcato un criceto su per lo sfintere, Vinnie? Non potevi aspettare di arrivare a casa?»

BLAM!
Di nuovo il piombo sparì nel vuoto. Per spararmi Vinnie aveva compiuto una parziale torsione del busto ma con quella presa incerta, il rinculo gli aveva strappato l’arma dalle mani e slogato la spalla. Gridò di dolore, bestemmiò e proseguì.
A separarci, una trentina di metri. Avrei potuto fermarmi, inquadrarlo nel mirino con tutta calma ed estirparlo come un’erbaccia da questo mondo dannato una volta per tutte. Peccato che avessi bisogno di lui per arrivare a Lupino.
«Non credi che sarebbe più pratico se ti fermassi? Sei pericolosamente vicino al cornicione.»
«Quello che credo sarebbe meglio, pezzo di merda, è che tu ti piantassi quella tua bella pistola dentro quella bocca piena di spirito e te la facessi saltare. Ha già fatto troppi danni, per i nostri gusti!»
«Sicuramente meno di quanti ne avrebbe fatti tua madre se quella notte con tuo padre si fosse limitata a usare solo quella!»
«I tuoi insulti non mi toccano, sbirro. Mia madre era una puttana!» disse sollevando ancora il fucile, tenuto fino a quel momento appeso mollemente al braccio lungo il fianco. Ovviamente fui più veloce. Quando gli bucai lo stomaco si piegò in due.
Il proiettile di Vinnie si sprecò a un metro dai miei piedi. Si era condannato da solo a quella fine ma non per quello persi il mio ottimismo: c’era tempo da lì alla sua dolorosa morte perché confessasse i suoi peccati e mi dicesse dove trovare Jack. Lo avvicinai senza abbassare le pistole.
Ero a un paio di metri quando i suoi occhi vacui ebbero un guizzo di lucidità e la testa scattò all’indietro. Contemporaneamente le gambe cedettero e il corpo si fletté verso il ciglio. Lo vidi cadere ma non mi mossi abbastanza in fretta per prenderlo. Vinnie non aveva perso l’equilibrio, si era deliberatamente gettato nel vuoto. Salì sul cornicione in tempo per sentirmi uno stronzo totale: Gognitti era saltato sul tetto del treno della metropolitana in corsa e ora si trascinava carponi lasciando dietro di sé una larga bava rossa. Si era fatto dare un passaggio e io dovevo affrettarmi a seguire il suo esempio.

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