Alessio Chiadini Beuri: Dentro il libro e oltre: Pirati

giovedì 4 marzo 2021

Dentro il libro e oltre: Pirati

 



Pirati è probabilmente, tra tutti, il capitolo più autobiografico dell’intero romanzo. Questo non solo perché, leggendolo, mi sembra che sia proprio io a parlare e non l’IO narratore Spanky (che comunque abbiamo ormai capito, è una mia proiezione letteraria) ma anche perché è un capitolo che non porta avanti la storia in nessun modo, è solo puro sfogo esistenziale dall’inizio alla fine (perciò se volete potete saltarne, anche se vi perderete il discorso finale di Fangio!).

È come un vorticosa discesa verso il tracollo nervoso, la trasposizione letterario di un Giorno di ordinaria follia con Michael Douglas e Robert Duvall. C’è questo bravo ragazzo, che sarei poi io, che strepita perché la sua natura e la sua indole pacifica non gli hanno mai permesso di farsi valere a dovere di fronte a quelle situazioni della vita che richiedevano più polso e più convinzione.


Rileggendolo, innanzitutto mi trovo davanti gli anni del liceo, in cui il senso di inettitudine è stato molto forte e molto mi ha smosso dentro a livello di crescita e comprensione di me stesso. Scuole medie e università sono stati due discorsi a parte: nelle prime, a parte quel piccolo, trascurabile fenomeno che mi ha portato a cambiare timbro di voce e farmi abbassare la media scolastica, avevo ancora la sicurezza che mi portavo dietro dall’infanzia in cui, nella mia testa, tendevo a diventare come i miei eroi televisivi (i MacGyver, i Magnum P.I., i T.J. Hooker); nella seconda avevo già quasi il pieno controllo dell’auto che guidavo, anche se non potevo ritenermi un pilota esperto, e avevo la forza dei vent’anni. Ho parlato molto e scriverò ancora tanto di quei cinque anni, che terribili poi non sono stati, in cui mi sono divertito molto e di cui conservo i ricordi più dolci di tutti, ma questo non vuol dire che non mi abbiano anche pesantemente messo alla prova e non abbiano giocato come pazzi con le mie insicurezze.




È uno Spanky/Alessio amaro quello che dice a se stesso e a chi legge che l’egoismo è la chiave per raggiungere la felicità. Pensare prima a noi stessi, che nessun altro ci amerà come ci amiamo noi. Niente di più sbagliato, è vero, ma anche così crudo da non poter essere una teoria del tutto campata per aria. Si tratta sempre di equilibro, di azione e di pensiero. Nella vita di ciascuno di noi ci sono persone che ci amano più di quanto noi possiamo amare noi stessi, soprattutto perché molte delle cose che facciamo a noi stessi non perseguono propriamente i fini del nostro benessere (certe abitudini alimentari, alcuni vizi portati agli estremi che minano la nostra salute psicofisica, certe scelte di vita che non ci alleggeriscono il fardello). Spesso il debito che maturiamo con queste persone non lo riusciamo mai a saldare completamente, ad essere per loro quello che loro sono per noi ma non è questo disonorevole o ingrato. Ognuno di noi ha nel cuore un motore diverso da quello di tutti gli altri, che carbura e gira con un rombo tutto suo. Credo che l’importante sia spingerlo al massimo con chi ci dà il massimo e controllarlo quando nei nostri confronti l’acceleratore è spinto solo a metà corsa. Il difficile è capire chi vale lo sforzo e chi no.

Sapete già come va a finire questa storia, no?

Già, spesso ci doniamo anima e corpo a chi ci tratta con sufficienza, con indifferenza, con distanza e ignoriamo chi invece per noi fa l’impossibile e che andrebbe anche oltre, se solo se ne paventasse il bisogno.

Ecco perché Spanky ce l’ha con i pirati, ecco perché vorrebbe essere più egoista, più stronzo, più indifferente, più distaccato. E in fondo non ce l’ha nemmeno con loro ma con chi li sceglie sempre, a discapito di quanto male e quanta sofferenza porteranno loro.

Il Principe e il pirata: da un lato il vezzo noioso dei puri di cuore, di quelli sinceri, di quelli cristallini come acqua di sorgente e da un lato coloro che non si raccontano, che ti lasciano appeso alla curiosità, quelli che fanno i rivoluzionari, che sembrano maledetti e che sono infinitesimamente più interessanti perché noi, per l’ignoto, ci andiamo matti.


Tutti noi vogliamo l’avventura, e quasi mai la troviamo sul dorso di un cavallo bianco vestiti di raso azzurro. Noi esseri umani aneliamo la luce ma siamo attratti dalla tenebra. Sarà sempre così: noi vogliamo sentire lo stomaco stringersi, la gola serrarsi, il fiato mozzato, i brividi lungo la schiena. È più forte di noi. Abbiamo gente che si sposa con serial killer e uxoricidi conclamati, figuratevi.

Sappiamo che in Chi più Re di noi il livello di testosterone è sempre ad alti livelli, un po’ per i protagonisti a maggioranza maschile e un po’ perché è un romanzo che scientemente mette a confronto quell'emisfero con quello femminile cercando di comprenderli rivelandone le similitudini, le contraddizioni e le insormontabili differenze. È una storia in cui, descrivendo l’altro, ciò che è diverso da noi, capiamo noi stessi. Uno zoo in cui, alla fine, non sappiamo più chi sta guardando chi. Tutto il maschilismo e il machismo che traspaiono in alcuni momenti non sono altro che lo svelamento della quotidianità, insieme a un femminismo che a volte è retto più dalla forma che dalla sostanza. Prima di offenderci guardiamoci dentro con onestà e occhio critico. La verità è la fuori. No, in questo caso è dentro di noi, non dobbiamo far altro che accettarla.


Quello che consiglia Fangio a Spanky, al termine di questo capitolo (“La figa non è un totem, smetti di idealizzarla”) sono le esatte parole che mi scrisse Leo in quinta superiore, mentre io morivo dietro alla solita che non mi considerava nemmeno da lontano e alla quale confessai solo molto più tardi il mio interesse. Sono un idealizzatore di natura, e il consiglio di Leo, se solo lo avessi capito prima, mi avrebbe risparmiato perdite di tempo, delusioni e pianti amari. Le persone sono molto più complesse di quanto una fantasia sia in grado di mostrarci. Non voglio scoraggiare il potere immenso e divino dell’immaginazione (Chi più Re di noi ne è uno svettante manifesto) ma piuttosto mettere in guardia coloro che la considerano come un porto sicuro piuttosto che una traccia, l'appunto scritto a matita di quello che vorremmo che fosse ma che poi ci dimenticheremo e riscrivendo daccapo appena usciremo nel mondo vero.

La verità su noi stessi è dentro di noi, la bellezza per cui viviamo è là fuori.

Per rappresentare al meglio questo brano ho scelto Only the good die young di Billy Joel, di cui vi ho già ampiamente parlato , proprio perché qui Billy fa la parte del cosiddetto “cattivo ragazzo” che i genitori vietano alla figlie di frequentare, il nostro famigerato e tanto invidiato “Pirata” senza poi esserlo nei fatti.

Per me era, invece, la dimostrazione che cercavo: che essere buoni non paga e che solo gli stronzi vanno avanti, ottengono tutto ciò che desiderano e vivono una vita piena e soddisfacente. Sfoghi giovanili, lo so, ma non sono ancora del tutto convinto che essere stronzi non paghi così tanto, fuori da casa nostra.







Per finire, non dimenticarti che il romanzo su Max Payne esiste e lo puoi leggere senza spendere un euro che è uno!



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