Alessio Chiadini Beuri: 2023

mercoledì 15 marzo 2023

Capitolo 1

Max Payne: una fredda giornata d'inferno




L’incubo era sempre lo stesso: violente figure che si muovevano nell’oscurità, la risata isterica dell’assassino era come un rompicapo di deviata malvagità.

Mi ritrovai nella mia casa. Nella nostra casa. Lo stanco incedere della luce esterna diceva al mondo che il giorno era finito e che sulla città si stavano finalmente distendendo le ombre della notte. Ero in piedi sull'uscio. 
Mi voltai a guardare a destra, verso la cucina. 
Poi a sinistra, verso il soggiorno. 
Il gesto rapido mi sfanculò l’equilibrio e un montante di nausea e vomito salì dalle budella. La stanza iniziò a girare, sempre più veloce, e non si fermò più. Cercai a tentoni un appoggio saldo a cui affidarmi ma non lo trovai e mossi alcuni passi in avanti sbattendomene del fatto che stavo per vomitarmi addosso. Il pianto di un bambino arrivò fino a me, prima come una serie di note confuse in fondo al brusio che lentamente si faceva strada in un’emicrania omicida che mi stordiva e poi come lama tagliante che feriva profonda. A malapena sapevo ancora come mi chiamassi ma non avrei potuto sbagliare nel dare un nome a quella voce. Sono istinti che un padre acquisisce la prima volta che tiene in braccio un figlio.
Rose.
Rose era là da qualche parte e stava piangendo.
Quella consapevolezza  si azzuffò con le tinte torbidi di quell’incubo, dando spinta alle gambe per un nuovo slancio in avanti. Mi muovevo a rallentatore verso il corridoio. Annaspavo e pompavo ma le distanze non facevano che dilatarsi. Dovevo sbrigarmi o tutto sarebbe stato inutile, un’altra volta. Ancora un fallimento. Lo stesso, imperdonabile.
Stavolta sono in tempo, però, non posso fallire. 
Fai qualunque cosa ma non le abbandonarle di nuovo. Hanno bisogno di te, grand'uomo.
Salvale e le tue mani non saranno più macchiate del loro sangue, Max. 
Ti stanno aspettando, che diavolo pensi di fare?

«Max, NO! Ti prego, NO!»

Il grido di una donna.
Sto arrivando piccola. Resisti.
Finalmente imboccai il corridoio per le camere da letto. Il figlio di puttana si allungò a dismisura tanto che mi trovai in un lungo tunnel con una minuscola iride di luce ad aspettarmi impaziente. 
Un piede dietro l’altro, era facile, su. 
Le gambe mulinavano divorando un pavimento inconsistente come fumo e le braccia cercavano febbrili aria da spingere indietro. La casa si inclinò e la corsa divenne un’affannosa salita. Il piede scivolò e io caddi disteso battendo la faccia. Non sentii dolore e mi rialzai riprendendo a correre con più foga mentre mia figlia urlava a squarciagola il suo orrore.
Tranquilla, l’uomo cattivo non ti troverà, questa volta. Papà sta arrivando. Non piangere più.
Arrivai in fondo al corridoio con un ultimo, doloroso, colpo di reni.
Sono qui, ragazze.
Al posto della stanza di mia figlia, però, un altro corridoio si spalancò di fronte a me. Era nero e profondo, come l’appetito della Nera Signora. Senza cedere alla disperazione frugai le ultime forze e mi gettai a capofitto dentro l’oscurità. Cieco e furioso, il terrore di perderle di nuovo alimentò un incendio di paure che divampò in un corpo proiettato allo spasmo. Mi lasciai dietro anche il secondo corridoio senza quassi accorgermene. Il terzo lo divorai. l’ultimo lo superai senza respirare, gli occhi spalancati e la bocca contratta in un ghigno ferino.

«Maaax!» quella volta, sì, era Michelle.

Estrassi la pistola.
Ci avevo messo troppo? Avevo fallito ancora?

Ammazzati Max o al prossimo giro le ucciderai un'altra volta.

La cameretta di Rose. Il lettino era rovesciato su un fianco. Il lato sbagliato per poter vedere mia figlia. Scattai in quella direzione ma una voce maschile riempì l’aria e la vista della stanza di mia figlia si offuscò.

«Lo abbiamo trovato addormentato accanto al corpo di Lupino» la voce aveva un’eco così terribile che capii a stento che cosa diceva.
Chi stava parlando?
Chi avevano trovato accanto al corpo di Lupino?
E quanto tempo fa era successo?

Scossi energeticamente la testa e il riverbero di quella voce sconosciuta si dissipò come vapore. 
Ero là per salvare la mia famiglia e niente mi avrebbe fermato. Dovevo mantenere il controllo. Un bagliore improvviso trasformò tutto in luce ma com’era arrivato, si ritirò altrettanto velocemente. Ero in piedi nel mio soggiorno a fissare una foto di me e Alex. I bei tempi andati. Avevamo condiviso alcuni momenti di gloria e senza falsa modestia, eravamo la miglior coppia di collaborazione tra polizia e Dea anche se avevamo entrambi il nostro bel caratterino. Avrei dato qualsiasi cosa per averlo come compagno di squadra. Ma non avevo mai avuto questa fortuna. 
Distolsi lo sguardo e la testa mi seguì con un ritardo di alcuni secondi. Sulla mensola del caminetto un ritratto di famiglia. Riconobbi la cornice, Michelle l’aveva scovata in un mercatino delle pulci e l’aveva voluta acquistare a tutti i costi, anche se non era niente di speciale e non valeva una cicca. Avevo preso in giro i suoi gusti per qualcosa come una settimana intera. Alchè si era decisa a farmela pagare piazzandoci una bella foto di noi tre. In quel modo non avrei potuto trovare un modo per farla accidentalmente sparire o facendomela scivolare dalle mani mentre la ammiravo. Quando Michelle mi si era piazzata davanti con quella composizione, fiera e sorridente, io l’avevo guardata accigliato, avevo sbuffato per protesta e poi ero scoppiato in una risata. Avevamo riso insieme, come due adolescenti cretini, fino alle lacrime. 
Nella foto tenevo in braccio Rose e Michelle mi cingeva il collo con dolcezza. Pura felicità catturata dallo sguardo della macchina fotografica. Pensavo sarebbe durata per sempre.

Finché morte non vi separi.

Non volevo pensarci. Mi ripetevo che fino a quando non l'avessi fatto non sarebbe potuto succedere.
Il ricordo però mi colpì come una saetta infuocata e io infransi la promessa. Il terrore era come un ago arrugginito conficcato nel cervello. Presto la sua infezione avrebbe fatto ammalare il cuore.
Quei pensieri furono spezzati dalla musica di un carillon lontano. Suonava una ninna nanna distorta e contorta, il più possibile lontano dalle promesse di bei sogni futuri. Il vagito di un neonato uscì dal torpore dei ricordi e crebbe come un vento nucleare dentro una valle. Il cielo azzurro e le nuvolette di una carta da parati da bambini mi scorrevano davanti agli occhi in un corridoio che sapevo già dove sarebbe finito. Non faticai quella volta, neanche mi accorsi di compiere un passo. Fui proiettato in una stanza avvolta nel buio. 
Un'oscurità nera come pece, come scrivono nei romanzi. La notte assoluta, il vuoto cosmico. Ero nell'iride perduta di un buco nero. Sollevai le mani di fronte al viso e non le vidi. Il fischiare tremendo del silenzio era un pugnale dalla lama conficcata da un orecchio all'altro. Sentivo agonizzare la ragione, appesa impotente e in balia degli eventi.
La bambina riprese a piangere. Mi si strinse il petto ma se aveva ancora forza di strillare come un'aquila voleva dire che per il momento stava ancora bene. Mi mossi e d'istinto gli occhi puntarono dove avrebbe dovuto esserci il pavimento e il mio piede. Sentì l'appoggio e con meraviglia la direzione mi comparve davanti. Non erano molliche di pane a indicarmi la strada ma un'irregolare scia vermiglia. Sembrava sangue, come quello di un cadavere trascinato per i piedi. La traccia era frastagliata di sbaffi e macchie circolari. Un vero casino. Una coltre di soffici fiocchi di neve rossa striavano l'orizzonte. Cominciai a correre lungo il sentiero. I passi rimbombavano cavernosi in un'eco infinita. non vedevo oltre a una decina di metri da me. Abbastanza per prendere un buono slancio ma non sufficiente a correggere raddrizzare la barra nel caso di una drammatica svolta improvvisa. Non sapevo se oltre la lunga linea rossa avrei trovato la solida terra o l'avvolgente nulla e non avevo intenzione di scoprirlo finché il pianto resisteva imperterrito. 
Mi trovai a corto di fiato, con il diaframma a spremere a fondo i polmoni e il petto a sussultare come un vecchio motore diesel. Nulla da segnalare per milza e fegato ma non avrebbero tardato a chiedere il conto. Il sentiero mi correva davanti agli occhi in un'ipnotica serie senza fine. Senza la possibilità di distrarmi smarrii la cognizione del mio corpo. Correvo in avanti per pura inerzia. Non sarei riuscito mai a scansare un muro o una voragine nel pavimento. Mi accorsi della mia corsa storta, vistosamente piegata da un lato, solo per miracolo. Mi stavo addormentando.
Mi morsicai l'interno della guancia e il dolore mi riaprì gli occhi: il sentiero di sangue si interrompeva nel niente. Saltai con uno slancio ridicolo fiondandomi addosso a un fato che avrei scoperto se clemente o crudele.
Quando trovai l'appoggio dei piedi ero in camera di Rose, la mia piccolina. D'istinto mi rivolsi verso l'angolo con il suo lettino. L'orrore mi attraversò raggelandomi l'anima. Coperto da un lenzuolo insanguinato, un corpicino era disteso a terra accanto allo scheletro del suo lettino, che qualcuno aveva ribaltato in preda alla rabbia.
«Oh NO! Ti prego, buon Dio, No!» urlai.
Il grido di Michelle interruppe il mio ma non riuscii a fermare le lacrime. Mi precipitai da lei. Il fallimento mi aveva trovato di nuovo, era così vicino da sentire il suo fiato gelido alitarmi sul collo. Varcai la stanza e in quel momento, di nuovo, una voce maschile squarciò il mondo.

«Puoi tagliarli a pezzi o a fettine, disintegrarli, vaporizzarli, poco importa: ritornano sempre come nuovi!»
Vidi me stesso legato a una sedia, incosciente.
Che stava succedendo?

«Michelle!!» disperato ricacciai indietro la voce e la visione onirica di me stesso si scomparve.
Ora stringevo tra le mani il diario di Michelle. Ero nella nostra camera da letto.

“Ieri mi sono trovata sulla scrivania uno strano fascicoletto. Valhalla? Sbaglio o ha a che vedere con la mitologia nordica? Con i Vichinghi? Ho provato a dirlo a Max ma mi ha liquidato con il suo affettuoso sorriso di circostanza. Probabilmente avranno solo invertito una spedizione.”

Da quel momento avrei sempre trovato del tempo per lei, mi dissi. Il vecchio Max se n'era andato, ecco a voi uno nuovo di zecca.
Restò una vana promessa. Troppo poco. Troppo tardi.

Nelle orecchie avevo di nuovo i pianti di Michelle. Le sue urla impaurite, private di qualsiasi riflesso di speranza, erano immerse in un'angoscia che faceva sanguinare l'anima.