Alessio Chiadini Beuri: 2022

giovedì 25 agosto 2022

Sopravvivere al fallimento: SITNOV, un nuovo genere letterario



Negli ultimi giorni mi sto interrogando parecchio su quanto stia facendo per continuare ad alimentare la mia passione di raccontare storie. È un esame di coscienza che mi costringo a fare con regolarità e in cui considero attentamente gli sforzi e i risultati ottenuti.

A volte, questi processi mi portano a tenere veri e propri trattati di filosofia spicciola in cui tento scovare il limite, se ve ne fosse uno, che separa una persona con un sogno da realizzare da un Don Chisciotte, un uomo alienato dal mondo reale che vive solo in funzione delle sue fantasie. Non vorrei che un giorno mi rendessi conto che non ho fatto altro se non lanciarmi a passo di carica contro dei mulini a vento. 



So perché scrivo: è per come mi fa sentire, fondamentalmente. Mette ordine dove prima c'era caos di pensieri e mi aiuta a ricordare quello che non voglio perdere, conservando tutto: espressioni, emozioni, colori, profumi. Molto meglio di una foto o un video ripreso col telefonino. 
Mi aiuta a darmi consigli che non sempre seguo e a creare qualcosa che prima non c'era. Una sensazione di onnipotenza che si silenzia soltanto quando i personaggi chiedono di esercitare il libero arbitrio e fare le loro scelte. 
Armonia, memoria, conoscenza e onnipotenza sono doni a cui è difficile rinunciare. 
Ecco perché amo scrivere e perché continuo a farlo. Sarebbe sufficiente per vivere sereno una mezza dozzina di vite se non avessi anche il desiderio di condividerle, queste storie. 

È appunto qui che ha inizio il dramma: dove la gioia dello scrivere diventa demone da nutrire e con cui confrontarsi piantando i piedi per non lasciarsi mettere sotto. Perché uscire allo scoperto, nel mondo da cui ti sei rifugiato scrivendo (o dipingendo, suonando, creando) ti fa chiedere se sei in grado di fare ciò che ami, così bene da avere una possibilità di restare. Me lo domando spesso se davvero so scrivere, se le parole che scelgo sono in grado di trasmettere quelle sensazioni che avevo in testa, se l'idea è originale e se il talento c’è o è solo una mia convinzione. 

Se la consapevolezza a volte è carente, di perseveranza ne ho da vendere a prezzo stracciato, invece. E questa rivelazione è il risultato della riflessione che è seguita dalla scheda di lettura che il prestigioso premio di narrativa Italo Calvino mi ha inviato a seguito della mia partecipazione alla sua trentacinquesima edizione. Sono così perseverante da candidare un testo come Chi più Re di noi, che non poteva che essere stroncato su tutta la linea. 

"Entusiasta e consapevole” potrebbero essere le due uniche note positive di una scheda di lettura ricca, generosa e veritiera. 
Sì, veritiera anche nell'elencare le pecche di un'opera di cui, però, sono il punto di forza e il tratto distintivo. Come tutto, nella vita, a fare la differenza è il punto di vista da cui si osserva. 



Avevo un piano quando ho cominciato la stesura di Chi più re di noi e, cosa più importante, poche idee su come portarla a termine. Per questo decisi di prendermi il mio tempo e capire come fare. Quella prima bozza è rimasta in incubazione per tre anni prima che mi decidessi ad aprire un blog e iniziassi la scalata. L'idea di partenza era semplice: la nostra immaginazione è cosi potente da creare e rendere tangibile anche ciò che, di fatto, non esiste. Per fare questo avevo piazzato il mio protagonista, uno studente universitario fuorisede, dentro un caldissimo appartamento di Bologna alla fine dell'estate e gli avevo messo sopra la testa una serie di rumori e suoni che lo avrebbero convinto che appartenessero alla donna della sua vita. 

E poi?

Poi non potevo permettergli di salire al piano di sopra per andare a bussare a quella porta, tanto per cominciare. Non prima dell'ultimo capitolo, comunque. 
Enrico è infatti un ragazzo che ha molta cura dei suoi sogni e prima che se ne renda conto si è già così innamorato di quell'idea che sente il bisogno di proteggerla anche dalla realtà, che spesso è spietata e vorace. Teme che anche quel sogno si rivelerà effimero e procrastinerà a lungo il momento di capire se la sua fervida immaginazione lo abbia attirato in una trappola o la dea fortuna si sia finalmente decisa a baciarlo.
In mezzo a tutto questo c’è un marasma di vita che va raccontato, lo spaccato di una generazione, il romanzo di un'età fatta di ricerca, di divertimento, di presa di coscienza sul mondo e su noi stessi. 

E come si fa a mettere giù tutta sta roba? 

Permettendo ai protagonisti di vivere, dove questo termine ne comprende altri: sperimentare, divertirsi, sbagliare alla grande
Così Enrico non si limita a seguire una trama votata al disvelamento finale di quell’inquilina misteriosa che gli ha preso il cuore, ma vive perché mentre viviamo non sappiamo quante pagine mancano ancora alla fine e non c'è un narratore che ci indichi la svolta di trama corretta. 
È per questo motivo che non fa niente se chi si aspetterebbe un romanzo dallo sviluppo canonico si trova davanti una storia in cui la ricerca all'inquilina del terzo piano sembra solo marginale, solo un pretesto narrativo. Enrico non lo sa che noi ci aspettiamo da lui che trovi il coraggio di salire una rampa di scale e vada a cercare l'amore della sua vita, per cui vive in base ai suoi ritmi, ai suoi desideri e nemmeno sa che esistiamo. 

Non è stata un'impresa facile scrivere Chi più Re di noi, anche perché a quel tempo vivevo ancora di più in un mondo tutto mio da cui mi affacciavo soltanto per vedere cosa c’era di buono in frigorifero. Quando mi è arrivata la folgorazione di questa storia stavo scrivendo un romanzo storico di cappa e spada dove tutti parlavano in versi come Cirano De Bergerac, figuratevi. Passare da quello al parlato di ragazzi di vent'anni, non edulcorato dalla morale e dalla fiction è stato un cambiamento di stile non da poco, che ha richiesto il superamento di un blocco psicologico che non mi permetteva di mettere nero su bianco neppure la meno scandalosa delle parolacce. Anche per questo non fa nulla quando leggo che Chi più Re di noi è infarcito di turpiloquio e umorismo becero e gratuito perché è esattamente così che parlano i ragazzi di quell'età quando non ci sono figure autoritarie o adulti in giro. 

Quando, nella scheda di lettura del Premio, ho letto che "i protagonisti rimangono immobili, congelati in una perenne spensieratezza e goliardia che non lascia spazio alla loro caratterizzazione psicologica" però, mi sono detto: 
«Aspetta un attimo: per forza, è una SITCOM


Già, perché questo ancora non ve l'ho detto: Chi più Re di noi è pensato come una situation comedy cartacea. Molto comoda quando abbiamo raggiunto il limite di dati e non abbiamo un Wi-fi a disposizione. Come Friends, How I met your mother, Big bang theory. Solo che vi sta tutta comodamente in tasca ed è sempre in alta definizione in pochi byte di memoria (c'è qualcosa che ha una risoluzione migliore della nostra immaginazione?). 
I protagonisti delle sitcom sono delle “maschere” che servono agli spettatori a identificarsi e simpatizzare. Portano dei valori, delle qualità, delle attitudini e dei punti di vista diversi perché è dal confronto di pluralità che si arriva meglio alla comprensione. E poi non è vero che i personaggi di Chi più Re di noi non cambiano e non hanno spessore psicologico. Anche loro evolvono, a volte così radicalmente che si è costretti a tornare indietro per guardare tutto quello che hanno fatto a riconsiderarlo alla luce di quella nuova presa di coscienza (un esempio su tutti: la “saga” di Tetteballerine, dal capitolo Fart by me a Il gatto sul Tette’ che scotta). Certo, magari non cambiano così velocemente come si vorrebbe o ci si aspetterebbe da un romanzo canonico ma, in fondo, quanto ci mettiamo noi a cambiare un atteggiamento o una convinzione nella vita di tutti i giorni? Lo facciamo al primo tentativo? Magari. 
Il cambiamento repentino avviene solo nella fiction e Chi più Re di noi non ha l'intento di esserlo. Sono anni che lavoro a questo romanzo, questa sitcom cartacea che ufficialmente chiamerò SITNOV (Situation Novel) ma che nel circolino di amici sarà TELEFILMANZO e, nonostante abbia ricevuto stroncature eccellenti e giudizi impietosi, continuo a crederci con forza e a parlarne ogni volta che posso. 
Per questo motivo l'ho candidato al Calvino, forse uno dei premi letterari più costosi a cui partecipare (si superano con facilità le cento carte): perché è vivo, perché parla di te o di qualcosa che ti è successo, perché è un romanzo che dovresti leggere senza fretta alternandolo ad altri, un capitolo ogni tanto quando hai bisogno di staccare la spina per un po', perché con più di settanta capitoli è quasi come una serie di quattro stagioni da ventidue episodi l’una. 




 

giovedì 12 maggio 2022

Dentro il libro e oltre: DELICATESSEN


 Enrico,Cecilia e Virginia sono andati tutti insieme a una mostra d'arte. Dove non è difficile immaginare le due ragazze in un contesto così colto, è un po' più strano vederci Spanky, anche se tra la compagine maschile di Chi più Re di Noi è di certo quello che in giro fa meno figure di merda.

L'ispirazione per scrivere questo l' ho presa dal film "Harry ti present Sally", nello specifico dalla scena ambientata al Metropolitan Museum di New fork. Avete presente quando Meg Ryan si mette a ridere per un battuta di Billy Crystal e istintivamente  guarda una in macchina, aspettandosi che le riprese venissero interrotte?




Ecco, volevo sperimentare come Enrico si sarebbe comportato in una situazione a lui poco familiare. Il titolo del capitolo è un easter egg che testimonia questo debito cinematografico: Delicatessen è infatti il nome del ristorante, che esiste davvero, in cui è ambientata la scena più famosa del film, quella in cui Meg Ryan mostra al personaggio di Billy Crystal, donnaiolo ,come le donne siano brave a simulare l’orgasmo tanto da ingannare ogni uomo.


Un'interpretazione così realistica che anche Youtube pensa che sia un orgasmo vero e lo oscura!

Il capitolo comincia subito con Enrico che fa polemica con Cecilia in merito al costo dell'audio guida, il cui prezzo è giustificato solo se ci fossero i Queen a cantare le didascalie delle opere esposte. C'è anche spazio per un omaggio al film "Tre uomini e una gamba" quando Enrico fa un commento su un'opera d'arte contemporanea consistente in due linee di colore su sfondo Bianco. 




Enrico si giustifica per la rozzezza dei suoi modi rompendo la quarta parete e rivolgendosi a noi per spiegarci che lui è uno di quei tipi che le imposizioni non le può proprio sopportare anche se si tratta dell' interpretazione di un quadro astratto da parte di un critico di nota fama. Lui vuole sentirsi libero di vederci quello che vuole. Un'attitudine, confessa, che lo ha sempre portato a percorrere sentieri impervi anche se la strada comoda era a pochi passi di distanza. Sotto questo aspetto gli anni del liceo sono decisamente stati i peggiori. Superato il primo imbarazzo iniziale, quello, diciamo, di riscaldamento in cui non hai ancora ben capito dove sei finito e con chi, grazie un affiatatissimo gruppo di compagni di classe scemi come e più di me (sono gli stessi con cui proseguiamo la tradizionale tombola dello schifo natalizia) abbiamo passato indenni i cinque anni che precedono quella che dovrebbe essere l'età della piena maturità (allerta spoiler: non lo è nemmeno per sbaglio). Gigioneggiavamo smargiassi a lezione, continuando a prendere voti onorevoli e facendo sbuffare disperate le compagne di classe che volevano copiare a menadito tutto ciò che il prof scriveva alla lasagna, leggeva pari pari dal libro di testo o farneticava cercando di farsi trovare simpatico. È lì che penso si sia formato definitivamente il mio umorismo, lo stesso di cui grondano le pagine di Chi più Re di Noi. Un umorismo che, per mia fortuna, rivivo ancora oggi grazie alla chat di classe che regala autentiche perle quotidiane. 




Comunque, a nostra parziale discolpa c’è da dire che la scuola italiana permette a certi soggetti impresentabili di insegnare e di essere di ruolo, per altro. Ho una grandissima stima per il mestiere dell’insegnante ma non sempre questa ammirazione riesce a passare ai suoi ambasciatori. È contro questo che ci battevamo mentre ci prendevano gioco dell'insegnante di storia che ha passato tutto un inverno con lo stesso maglione e la stessa camicia e potevi sentirlo arrivare con cinque minuti d'anticipo per via dell' odore di cadavere; ci battevamo per la professoressa di italiano che spiegava leggendo le didascalie del libro di testo infarcendole di "…appunto…" e "…quindi…" messi a caso per spacciare il tutto come farina del proprio sacco. Ci sono anche professori che ho amato nonostante abbia odiato il modo in cui mi facevano sentire, c'è da dirlo. Nessuno mi ha fatto amare la letteratura come l’insegnate di francese che mi interrogava tutti i santi giorni per darmi un risicato 5 politico standard. Eravamo rumorosi, impertinenti e guasconi. Io sono addirittura riuscito a farmi sbattere fuori dalla classe mentre avevo una gamba rotta e deambulavo solo grazie a un paio stampelle, tanto per farvi capire. Vi rasserenerà, però, sapere che la situazione docenti, all' università, è peggiorata molto. Anche perché non avevo più i miei compagni accanto per superare le difficoltà.
In uno slancio telefonato di autobiografismo spudorato, ho fatto raccontare a Enrico come a oggi penso di essere stato durante il liceo: il primo termine di paragone è l'uomo invisibile perché, in quei cinque anni trovare me stesso, capire chi fossi e, soprattutto, accettarmi mi hanno catapultato da una crisi esistenziale all'altra tanto che il cambiamento non è stato solo interiore ma anche esteriore. Se un anno ero magro e scanzonato, l’anno dopo ero fatalista e gonfio, una stagione spensierato e trasognante, quella successiva triste e innamorato. Ho subito così tante trasformazioni che ero convinto di non poter rimanere impresso nella memoria di nessuno (compagni di classe a parte) e di non poter piacere ad anima viva (questo serve anche a spiegare perché, in campo amoroso, non ho battuto mezzo chiodo nemmeno quando ero gradevole da vedere). 



Il secondo paragone deriva, invece, dal film degli anni '80 The Breakfast Club: il ribelle John Bender. Per coloro che conoscono questo iconico film sanno già che sto parlando del personaggio misterioso, magnetico e provocatore che trascina la storia e gli altri protagonisti a rivelare se stessi e a scoprirsi in un sabato di clausura scolastica. Un accostamento che  mi è stato attribuito da uno di quei compagni di classe di cui vi ho raccontato. Probabilmente per il suo modo spiccatamente sbruffone di scontrarsi con i rappresentanti dell'istituzione scolastica. Non voglio dirlo ad alta voce ma segretamente ne vado molto fiero. 




Torniamo però alla storia che, in fondo, siamo tutti qui per questo e anche se Enrico fa queste stesse digressioni mentali durante la visita al museo perdendosi la metà delle spiegazioni delle opere che Virginia si è gentilmente prestata a fare, quando è presente e concentrato sulle parole dell'amica non riesce a non farci sopra dell'umorismo. È stata una scelta consapevole quella di far comportare Enrico come uno stronzetto antipatico e petulante perché volevo verificare quanto virtualmente potessi essere stato insopportabile in certe situazioni quando non mi esimevo dal fare a tutti i costi il simpatico disturbando la lezione, o mi distraessi così facilmente perché di quello che spiegava il prof me ne fregava meno di nulla. Devo dire che ho provato a me stesso che se mi ci metto d'impegno posso essere davvero snervante e togliere la pazienza a un santo. Una presa di coscienza che non mi ha fato smettere, comunque. È così che ho scelto di combattere il potere. 




Provando a essere partecipe e non perdere l'amicizia di Virginia e Cecilia, Enrico dice la sua sulle opere che incontrano ma, trattandosi di una mostra d'arte moderna, i soggetti dei quadri non sono sempre ben a fuoco e il ragazzo ci mette spesso del suo, vedendoci scene che ha vissuto con Alena, la sua ragazza, raccontandone aneddoti senza troppe censure. Solo che, a un certo punto, di fronte al quadro di quello che sembra un cane che cerca di correre sul ghiaccio, da Virginia arriva un secco vaffanculo, che Enrico non ha visto partire. 
Sbigottito, domanda a Cecilia, che è rimasta accanto a lui, che cavolo di accidenti sia appena successo. L'amica, alzando gli occhi al cielo, gli risponde che, visto che la storia tra Virginia e Alan è appena finita, lei è piuttosto sensibile sull'argomento. Enrico ribatte che niente di quello che Cecilia ha appena detto ha senso, visto che è Virginia che ha lasciato Alan, non il contrario. Questa cosa a me personalmente non è mai successa ma quando il dialogo mi ha portato a questo punto mi è sembrato comunque un buon esempio di come, a volte, noi maschietti ci troviamo spiazzati da alcuni salti logici femminili. E poi prestava il fianco a una battuta e non ho potuto sottrarmi.



Non contenta, Cecilia gli dice pure di andare da lei e scusarsi per essere stato il tipico maschio insensibile e Enrico non può far altro che raccogliere tutte le sue perplessità e fare la cosa che all'apparenza sembra la più giusta. 
Sia Virginia che Enrico ammettono, l' una di aver esagerato e l’altro di essere stato uno stronzo che non credeva che la fine della sua storia con Alan le pesasse ancora così tanto, offrendole la sua spalla per sfogarsi, se le va. Virginia rifiuta ancora prima che l' eco dell'offerta di Enrico si sia dissipata ma si sente così generosa da dargli un consiglio per la sua storia con la bella Alena: che vivano la loro vita, che non si annullino nella storia d'amore o nel partner, che restino individui ben distinti che condividono un sentimento che li spinge a stare insieme.
Cinica questa Virginia, voi direte, e non è che abbia rivelato chissà quale segreto di Fatima. Bè, andiamoci piano con i giudizi affrettati: se ho l’onore di parlare a una platea di fenomeni mi do un buffetto orgoglioso al mento ma io c'ho messo un bel po' ad afferrare la nozione che l'amore corrisposto sia solo uno dei fattori di quella complicata equazione che bilancia l’intensità della felicità di ciascuno di noi. 



A me, che fosse tanto scontato, non è mai sembrato. Per la mia natura, dotata di brevetto di volo pindarico dodicesimo Dan, sommata a un'infanzia culturalmente forgiata sul fatto che l’eroe di turno abbia sempre una principessa da salvare o per cui sacrificarsi, uscire dal meccanismo che è possibile essere felici anche senza avere un rapporto serio con un'altra persona o che, pur avendolo, questo non impedisca agli altri interessi di coesistere, non è stato facile neanche per sbaglio. È stato il sopraggiungere della maturità, anche se è ormai bene che mi rassegni a chiamarla vecchiaia, ad aprirmi gli occhi su quanto sia sbagliato, ingiusto e controproducente sparire in una storia e vivere solo in funzione di essa. Prima di tutto perché la storia non è detto che duri per sempre e, se hai svuotato il tuo mondo precedente per dedicarlo a lei, quando probabilmente finirà e tu dovrai raccogliere i cocci e ricominciare da capo, sul fondo di quel mondo svuotato non ci troverai altro che vecchie cianfrusaglie di quello che eri una volta e che, ormai, non sei più perché il tempo è passato e hai fatto terra bruciata della vecchia vita. Non si può affidare a nessuno un potere così grande dato che solo noi rimarremo con noi per tutta la vita. Il secondo motivo è che per essere interessanti e continuare a far innamorare ogni giorno quella persona di noi, dobbiamo darle un motivo. Non possiamo vivere esclusivamente in funzione sua, aspettando un suo segno o un suo cenno perché quando finalmente toccherà a noi fare qualcosa, non sapremo di che altro parlare se non di lei. Noia e tedio sono l’anticamera dell'infelicità, del tradimento e della separazione. Per questo Virginia ha troncato la sua relazione con Alan, nonostante lo splendido viaggio a Parigi: non voleva qualcuno disposto a vivere nel suo riflesso ma qualcuno che facesse luce insieme lei. 




La canzone: Solsbury Hill - Peter Gabriel

Ho scelto questo pezzo di Peter Gabriel per accompagnare Delicatessen per due motivi:
Il primo è perchè un fenomeno come Peter Gabriel non poteva mancare da questa colonna sonora e secondo perchè anche a coloro che non dovessero essere ferratissimi in inglese, grazie a un arrangiamento cucitogli addosso come un abito di alta sartoria, è chiaro fin dal primo ascolto che si tratta di un pezzo capace di scavarti dentro e aprirti il petto in due. Col sorriso. Quel sorriso di consapevolezza che ti si stampa in viso e che si diffonde in tutto il corpo con un pizzicore che ti fa sentire vivo come non mai. Solsbury Hill è una di quelle canzoni a cui penso subito quando ho bisogno di immergermi, e dare corpo e voce, a ciò che è per me libertà. Una libertà intima, mai dichiarata ad alta voce, solitaria.

Buon Ascolto!






Chi più Re di Noi: la ragazza che ascoltava i Guns N' Roses

Editore: Andaluso Errante Books
Prima Edizione: Dicembre 2016
Seconda Edizione: Ottobre 2020
Genere: Narrativa Contemporanea


Quarta di copertina: "Bologna. Una nuova ragazza è venuta ad abitare nell’appartamento sopra a quello di Enrico, Tette’ e Zanna, solo che nessuno l'ha ancora vista. Il primo si è convinto che si tratti della donna della propria vita ed è deciso a incontrarla, il secondo si è offerto di curarne l'irrequieta smania di svegliarli nel cuore della notte facendole assaggiare un po' del toro da monta qual è, l'ultimo non è sicuro che il fantasma dello zio morto in quella casa la lascerà in pace.
Cecilia e Virginia alzano gli occhi al cielo"


NB: da qualche giorno è disponibile anche la variant cover dedicata a John Belushi e Animal House!
Costa solo 1.50 in più rispetto alla classica perché è in copertina rigida!



Qualche Recensione:



venerdì 25 marzo 2022

Dentro il libro e oltre: AIRHEADS!

 



Ormai lo avete capito: con "Chi più Re di Noi" non puoi fare piani: oggi sei qui, a goderti senza pensieri un pomeriggio di piacevoli frivolezze e domani potresti dover correre per salvarti la vita. Non metterti mai troppo comodo mentre lo leggi perché a lui star fermo non piace. Con questo episodio usciamo un attimo dal continuum della storia principale per godere di un unicum in cui la meraviglia è così diffusa da essere considerata una malattia infettiva.  Airheads, il cui titolo si rifà sputato al film del 1994 con protagonisti Brendan Fraser, Steve Buscemi e Adam Sandler, è la parentesi non programmata in cui ho voluto far cimentare Enrico, Tette' e Zanna in una disciplina che sfiora l'epicità dei grandi miti classici: l'AIR BANDING.


Chi fa parte della generazione dei Millennials sa già di cosa sto parlando ed è anche capace di dirmi da dove ho preso l'idea. Nell' episodio 9 della quinta stagione di SCRUBS, infatti, all'Ospedale Sacro cuore sono aperte le audizioni per il nuovo cantante dei Cool Cats, la band formata dall'avvocato Ted (chitarre), dall'inserviente (basso) e dal fattorino (batteria). Nessuno di coloro che, al tempo, stava guardando la televisione aveva la minima idea di essere a poche inquadrature dal mito. 


 Perché Air Banding significa suonare l'aria, senza l'ausilio di strumenti musicali né della propria voce, l'importante è essere convinti come se lo si stesse facendo per davvero.  

Tutto qui? Dite voi.

Che ci vuole? Dice qualcun altro.

Ma non è mica così facile se pensate che i nostri stanno cercando di vincere un concorso di Air Banding da almeno tre anni con infimi successi. I ragazzi prendono molto sul serio la cosa tanto che Spanky ci racconta che ogni anno la band si scioglie per via dei dissapori intestini, che partono già al sound cheek. Non sono mai d'accordo su niente e bevono come spugne, per conservare intatto lo spirito rock che gli scorre nelle vene. Però il tempo passa e le brucianti sconfitte pesano ogni anno di più, così hanno deciso di affidarsi a manager d'eccezione: Cecilia e Virginia.  Dopo aver provato, ricevendo come risposta un doppio dito medio che una comunicazione più chiara dovrebbero inserirla alle scuole di specializzazione di marketing, a farle partecipare allo show in qualità di coriste si sono consolati realizzando che ci sarebbe stata più gloria da spartire per loro tre, allora.  Oddio, contenti loro. 

In ogni caso anche il look vuole la sua parte, se non altro perché non è che devono fare molto altro se non apparire. Zanna è stato ricoperto di trasferelli cattivi e piercing a calamita, anche se Tetteballerine aveva proposito di farglieli veri; Spanky indossa pantaloni di pelle attillati, canottiera bianca, Wayfarer alla Blues Brothers e metri di polsini ricavati da vecchi tubolari; Tetteballerine ha scelto pantaloni lucidi giro-pube, in modo da mettere in mostra l'addominale basso, quello così definito da sembrare un'indicazione stradale per il suo parco giochi e il torso nudo ben oliato, così che risalti sotto le luci del palcoscenico. 


Sfuggono alla prima rissa quando sono ancora al banco delle iscrizioni.  Mi piaceva pensare che Tette' potesse rivaleggiare a suon di "onde pettorali" con il buttafuori del locale, come in un classico scontro tra auree in Dragon Ball. 



Dopodiché è subito il momento di un'infilata di citazioni cinematografiche senza pietà. Si comincia con Blues Brothers, ovviamente e si approda a School of Rock.


I ragazzi hanno deciso di chiamarsi i "Lady's Breast" che letteralmente potrebbe essere un titolo dignitoso per un film pomo italiano anni '90: Petto di donna.



Quello che mi sono dimenticato di dirvi è che il movimento pettorale di Tetteballerine ha doti taumaturgiche, come la reliquia di un santo, e che Enrico e Zanna ormai sono in grado di capire le emozioni e gli stati d'animo dell'amico vedendo in che modo muove il petto. Come coi cani. Mentre Tette' e il buttafuori sono ancora impegnati a darsi un tono misurandosi gli uccelli, è Virginia che prova a distogliere l'attenzione per rivolgerla su di sé. Non le serve molto: le basta un piccolo colpo di tosse e dichiarare di avere la gola secca in direzione dei ragazzi che, per farsi accompagnare, le hanno promesso da bere. A quel sentire, ho immaginato che un gruppo di ragazzi lì attorno convergessero immediatamente verso Virginia per accontentarla e crearsi una chance. Mentre scrivevo questa scena non sono riuscito a togliermi dalla testa il momento in cui Gandalf il Bianco facesse la sua comparsa alla testa di un esercito ne "Il Signore degli Anelli".



Noi maschi siamo come locuste: dove c' è da mangiare noi ci fiondiamo senza ritegno e senza diritti di precedenza. Questo, almeno, è vero in quei contesti in cui il testosterone è ammassato all'inverosimile e quell' unico neurone a testa, invece di connettersi a quello degli altri, come in una specie di Pandora da sabato sera e dare vita a un essere mediamente pensante (seppur temporaneo), si affoga dentro a fiumi di alcol e regredisce allo stadio evolutivo del Neanderthal. 


Presi singolarmente, molti di noi maschi, non siamo neanche male da frequentare e abbiamo un certo decalogo morale a cui affidarci in caso di dubbio.  Ma il gruppo rade al suolo anche le ultime briciole di contegno sociale.  Sia chiaro: Virginia avrebbe potuto fare qualsiasi altra cosa che il risultato non sarebbe cambiato di una virgola: quando l'uomo ha inquadrato il bersaglio al centro del suo mirino, donna, qualunque azione diversiva che si tenti di mettere in campo ha grosse possibilità di fallire. Noi non siamo bravi a leggere i vostri segnali e non sempre voi siete delle brave radio operatrici e l'unica soluzione che il maschio inesperto ha trovato per ovviare all'inconveniente è ignorare qualsiasi tipo di messaggio, sia esso incoraggiante o meno.  "Vieni qui" e "Sparisci", per esempio, contengono lo stesso numero di sillabe. È l'unica cosa che notiamo. Questo è un po' un dilemma vecchio come il mondo perché se la logica direbbe che se una persona ti vuole nella sua vita allora ti cerca, si fa sentire, dall'altra parte è consuetudine che farsi desiderare è la chiave per conquistarlo.  La distinzione di generi è puramente casuale, lo fanno uomini e donne, solo che io non mi voglio arrogare il diritto di parlare per la controparte che non conosco così bene.  Ma come fai a distinguere, allora, se la persona a cui vuoi disperatamente interessare e che non sembra calcolarti, sia una seguace delle potenti arti mistiche dell'Indifferenza o proprio ti schifa come l'ultimo degli appestati? Se il comportamento non corrisponde al desiderato, come superare l'impasse e scostare il velo di Maya e, magari arrivarci almeno in seconda base?

Quello che penso io è che, fondamentalmente, anche questo tipo di approccio è una caratteristica con cui ci si sceglie, come la simpatia, l'attrazione fisica, il modo di vedere il mondo. Lo dico perché, personalmente, non ho mai conosciuto ragazze che non mostrassero interesse nei miei confronti, pur provandolo.  Non dico che ne abbia mai incontrate, dico che il risultato, per un analitico come me, è stato girare pagina,  tirare il freno e concentrarsi su altro quando vedevo che dall'altra parte non c'era interesse. Dico questo anche perché conosco ragazzi che, invece, in questo gioco al gatto col topo, riescono a districarsi bene e a non perdere mordente quando io gliel'avrei già data su (mi sarei arreso, NDR) da tempo.  Chi parla la stessa lingua si si comprende. È tanto facile. 


Lasciata da parte questa digressione filosofica alla Raffale Morelli dei poveri torniamo al concerto, che deve ancora cominciare. Virginia e Enrico hanno un acidissimo scambio di vedute in merito agli obiettivi e le priorità della vita che si conclude con quest'ultimo che viene mandato a quel paese. I dispiaceri però sembrano appena cominciati perché il nostro gruppo di rockstar incontra la loro peggior nemesi: i "Finger in the Ass", la band che continua umiliarli anno dopo anno. Vedete che nulla, in questo romanzo, è lasciato al caso, nemmeno i nomi inventati. Ma non c'è tempo perché il palco chiama e i nostri salgono sul palco e danno inizio alla magia, o almeno è questo il loro intento con il petto di apertura, in assoluta controtendenza rispetto alla loro solita scaletta. 

Che una rock band di Air Banding inizi il suo concerto con "Thank you for loving me" dei Bon Jovi non è così prevedibile. Tette', però, ha un piano ben preciso e come frontman del gruppo molto del lavoro è sulle sue spalle. Anche se in questo caso sarebbe meglio parlare di terga perché, agitandole in maniera sexy e ambigua, fa arrossire quasi tutte le ragazze presenti le in sala. Sono quelle che non hanno ancora avuto un rapporto di reciproca confidenza con lui. Si riconoscono bene perché hanno ancora il loro amor proprio intatto. 


Enrico, alla tastiera, si prodiga sullo sfondo nella sua imitazione di Steve Wonder sorridendo, battendo le mani a tempo e dondolando la testa a destra e sinistra. Se per mestiere facessi l'animatore alle feste per bambini, quello sarebbe uno dei miei cavalli di battaglia. Ogni volta che parte una bella canzone e io indosso gli occhiali da sole, fatevi largo perché è più che probabile che parta per la tangente. È quasi come un tic, non lo so mica se riuscirei a non farlo. Non ho avuto ritegno nemmeno per il Boss, Bruce Springsteen. C'è tanto di testimonianza fotografica. Ah, ai matrimoni non rispondo di me, quindi occhio con gli inviti. 




A sorpresa, la strategia di conquistare la platea con una ballata ha successo e i Lady's Breast approdano in finale. Non era mai successo ma i fianchi seducenti e accattivanti di Tette' hanno fatto il loro. Con "Jump" dei Van Halen, anche i Finger in the Ass vincono l'ultima esibizione: quella che può valer loro la conferma di un successo ormai imperituro nell'Air Banding bolognese. Decidono di sfondare tutto esibendosi in "Waiting for the weekend" dei Loverboy, un altro pezzone che quelli di voi che lo conoscono lo hanno sentito su Scrubs. E su questo posso metterci la mano sul fuoco.  




L'esibizione è così convincente che per Enrico, Tette' e Zanna potrebbero benissimo iniziare a chiamarsi "FIST in the ass".  E Tette', ancora una volta, colui in grado di cambiare a loro favore il morale, che già aveva subito una vertiginosa flessione verso il baratro dell'autocommiserazione, lo fa con una staffilata citazionistica presa direttamente da Tenacious D e il destino del rock.  A cui segue un altro momento iconico della filmografia universale (è così che i ragazzi armonizzano la loro anima rock).


Il pezzo con cui scelgono di affrontare la finale è "Cum on fell the noize" dei Quiet Riots. Tutti danno il massimo per la vittoria, per il successo e per la gloria ma è Zanna che all' improvviso diventa l'eroe del giorno: il Vishnu della batteria, a metà del pezzo, prende e si lancia sulla folla.  È esattamente così che finisce il capitolo: prima del verdetto. 

Ma come?

E chi vince? Ce la fanno?

Risposta: in fondo, è davvero importante?







Chi più Re di Noi: la ragazza che ascoltava i Guns N' Roses

Editore: Andaluso Errante Books
Prima Edizione: Dicembre 2016
Seconda Edizione: Ottobre 2020
Genere: Narrativa Contemporanea


Quarta di copertina: "Bologna. Una nuova ragazza è venuta ad abitare nell’appartamento sopra a quello di Enrico, Tette’ e Zanna, solo che nessuno l'ha ancora vista. Il primo si è convinto che si tratti della donna della propria vita ed è deciso a incontrarla, il secondo si è offerto di curarne l'irrequieta smania di svegliarli nel cuore della notte facendole assaggiare un po' del toro da monta qual è, l'ultimo non è sicuro che il fantasma dello zio morto in quella casa la lascerà in pace.
Cecilia e Virginia alzano gli occhi al cielo"


NB: da qualche giorno è disponibile anche la variant cover dedicata a John Belushi e Animal House!
Costa solo 1.50 in più rispetto alla classica perché è in copertina rigida!



Qualche Recensione:



giovedì 3 marzo 2022

Dentro il libro e oltre: Hello Brokenheart!

 


Ebbene, eccomi tornare da voi dopo mesi e mesi di assordante silenzio. La stesura dell'ultimo romanzo ha assorbito tutto il mio tempo libero una volta lavorato, dormito, mangiato e custodito (come ama dire mia madre per dire che devo prendermi cura di me stesso). Certo avrei potuto fare economia di minuti preziosi e mangiare un po' meno, visto il girovita che è lievitato, ma è così che combatto lo stress.  È un circolo vizioso che devo interrompere, prima o poi.  Meglio prima, comunque.

Nuovo romanzo, dicevo, sì: ho avuto l'ottima pensata di cimentarmi in un progetto con una data di scadenza al limite delle mie possibilità ma dopo un paio di mesi di studio della trama e dell'intreccio e dopo altri quattro di stesura, sono riuscito a confezionare il tutto e spedirlo a chi di dovere.  Non è stato facile per niente, ve lo dico subito, e men che meno rilassante ma io ho voluto la bicicletta e a me è toccato pedalare, anche se stavolta si trattava più che altro di un monopattino elettrico in autostrada, contromano.


Veniamo però al motivo per cui ci troviamo qua: una nuova puntata del serial letterario più apprezzato dei pochi elettori di questo bellissimo blog dalle enormi potenzialità. Dentro il libro e oltre torna con una puntata dal titolo più inglese-maccheronico che si potesse prevedere e lo fa anche con un capitolo che, all'epoca, fu quasi del tutto improvvisato e davvero scarsamente programmato. È così che scrivevo una volta: totalmente comandato dall' istinto e dalla penna che continuava a correre sulla pagina.  

Ricordiamo, prima di tutto, ciò da cui veniamo: sono passati alcuni mesi dalla notte di Capodanno ma fondamentalmente poco è cambiato se non per il fatto che Zanna e Caterina sono tornati insieme e sembrano così felici da fare ammalare di diabete chiunque sia cosi avventato da respirare la loro stessa aria senza aver indossato prima una tuta schermata da barre di livore per il mondo cucite a due millimetri una dall'altra.  Spanky si frequenta con Alena, nonostante questa non sia l'inquilina del terzo piano e Virginia fa lo stesso con Alan, la fiamma di amore iridescente che l'ha portata a Parigi a festeggiare coi botti. Membrokid, che è tornato dal Sudamerica, sta per sposarsi con quella che avrebbe dovuto essere solo un'avventura bacino-pelvica da manuale. Fangio si deve ancora riprendere dal coccolone che gli è preso quando gli è stato domandato di presenziare al cerimoniale nuziale in qualità di testimone dello sposo.  Il capitolo si apre con una delle solite riflessioni esistenzialistiche del nostro insicuro Spanky di quartiere che, però, fondamentalmente verte sulla sua innata positività e sulla sua ingenuità adamantina con cui distribuisce seconde possibilità a qualunque stronzo di passaggio come fossero caramelle. Questo perché le sua seconda possibilità, in realtà, sono a volte terze, quarte, addirittura quinte occasioni per rimanere deluso dalla vita e dalle persone su cui non riesce a smettere di puntare tutto, non accorgendosi che presto la banca smetterà di fargli credito. Spanky si giustifica dicendo di avere un handicap al cuore ma il suo grande problema è che si innamora più dei viaggi che si fa in testa che di quello che succede davvero nella Realtà. È un fottuto, irrimediabile, idealista che il vizio di sognare di volare sempre un po' più in alto non gli passerà mai, qualunque tentativo venga azzardato nell' impresa.  


Fa parte della sua natura e da autore so che dovrà imparare a conviverci, e al più presto. Meno male che l'ho creato anche con un pizzico di cinismo e autoironia, altrimenti sarebbe stata davvero la fine per Spanky. In ogni caso è doveroso ricordarvi che all' epoca in cui è ambientata questa storia, gli smartphone erano ancora un lusso per pochissimi e i cellulari non andavano su internet a meno che non aveste il rene di qualcuno da vendere, avevano pochissima memoria, sufficiente a conservare dodici sms testuali e non avevano ancora le tastiere digitali. 


È per quest'ultimo motivo che Spanky, al suo Nokia3330, risponde per errore, visto che stava leggendo per l'ennesima volta un messaggio dolce di Alena. Un numero sconosciuto come quello, normalmente lo avrebbe ignorato, ma a minchiata ormai fatta, pensa di cavarsela buttando giù il telefono all'operatore del call center fingendo che la linea sia disturbata. Solo che gli va peggio del previsto, in un modo che non sarebbe riuscito a immaginare nemmeno dopo aver mangiato male al thailandese. In un primo momento non riesce ad associare la voce che sente con qualcuno che, da come si rivolge a lui sembra uno dei suoi migliori amici della vita. Invece è solo Alan, il ragazzo di Virginia con cui né lui né nessuno degli altri (escludendo forse solo Cecilia) ha mai nemmeno visto per sbaglio. 

La realtà ve la dico io, dopo quasi dieci anni: il personaggio di Alan non era previsto, l'ho inventato solo per esigenze di trama. Il suo è sempre stato il destino di una meteora, nemmeno così fulgida, a dirla Tutta. Era solo l'escamotage per avere un contraltare idilliaco con cui far risaltare il Capodanno di merda passato da Spanky, tanto per sottolineare meglio il concetto che alle nostre fantasie ed elucubrazioni va concesso solo il giusto, senza andare in overdose e cadere troppo rovinosamente insieme alle nostre alte aspettative.  Che poi, per il carattere di Virginia, così riservato e poco espansivo con la comparte maschile dell'appartamento, questa riservatezza è perfettamente logica.  

Comunque sia, Alan telefona a Spanky e, dando per scontato che lui sappia che con Virginia la storia è finita, avvia un soliloquio di lamenti che tiene inchiodato il povero Spanky, davvero troppo cortese, per una cosa come quarantacinque interminabili e strazianti minuti.  

Una delle tante cose che a Spanky non torna è il motivo per cui il ragazzo abbia telefonato proprio a lui, che non se l'è proprio mai inculato di striscio. Aiutandomi con le fasi di elaborazione del lutto, che penso di aver appreso per la prima volta da Scrubs o da Dottor House, mi sono divertito ad analizzare allo stesso modo i momenti che seguono una separazione sentimentale.  


Per prima, quindi, abbiamo la NEGAZIONE, il rifiuto di affrontare la realtà per quella che è, proteggendosi con una cortina di deboli tentativi di auto-convincimento che l'altra persona, molto presto, ritornerà pentita sui suoi passi e tra le nostre braccia. Ah, ogni fase è scandita dal commento cinico e disincantato di Spanky, che qui ha la possibilità di fare al meglio ciò che non gli riesce mai per se stesso: essere violentemente razionale e lucido.  


Sul secondo gradino del podio abbiamo la RABBIA: a cui si unisce quasi subito il rancore e la frase:  

". . . con tutto quello che ho fatto per lui/lei"

Vi suona familiare, no?

Ma ecco il punto: quando veniamo scaricati ci sentiamo rifiutati, non capiti, non apprezzati e scarichiamo il nostro dolore sull'altra persona sotto forma di un'accusa di ingratitudine perché davvero siamo convinti di aver fatto cose che nessun altro abbia mai fatto, e lui/lei lo deve riconoscere perché facendolo, si renderà conto che uno uguale a noi non lo troverà da nessun'altra parte. Il bello è che tutta questa storia ce la cantiamo e ce la suoniamo con convinzione, perdendo di vista il fatto che non tutto quello che sembra importante per noi venga valutato allo stesso modo dall'altra parte, altrimenti non saremmo stati scaricati così impunemente e senza diritto di replica. Due persone si devono trovare, e non solo nel momento giusto delle loro vite, quando sono entrambi disponibili e interessati, ma in cerca esattamente l'uno dell'altro per carattere, per indole, natura e sintonia. Non basta solo fare tutte le cose bene.


Molto spesso quello che attrae una persona verso di noi è qualcosa di cui noi siamo totalmente inconsapevoli e che neanche ci immaginiamo. Pensate alla rivelazione finale del film Hitch. Tutto ciò che ha fatto innamorare la ragazza sono stati i suoi difetti, i suoi sbagli, le sue deviazioni dalla strategia di conquista che aveva preparato. L'importante, secondo me, è rimanere in onda e continuare a trasmettere, poi qualcuno che si sintonizzerà e deciderà di non cambiare stazione, arriverà.


Il terzo punto della fase di elaborazione è il PATTEGGIAMENTO e io ho immaginato come spesso, quando qualcosa che vogliamo con tutto il cuore ci sfugge dalle mani, noi tendiamo a cambiare ciò che siamo pur di non perderla. Che per alcuni aspetti va anche bene, chi è perfetto scagli la prima pietra, no?

Ciò che per me è sbagliato è arrivare a pensare di cambiare così tanto da fare un torto a noi stessi e cominciare a indossare gli abiti di una menzogna. Una bugia che poi saremo costretti a portare, potenzialmente, per tutto il resto della vita, se questa brillante pensata avesse mai successo.  Il che, vi tranquillizzo, non avverrà mai. Perciò, se la vostra coscienza è a posto e le vostre azioni non vi hanno condotto in qualche braccio della morte, quella persona potete anche lasciarla andare. Sarà doloroso, non lo metto in dubbio, ma sarà sicuramente meno penoso che violentare voi stessi a quel modo. Nessuno lo merita, voi in primis. Se io ho pensato di farlo, dite? Certamente, ma siamo stati tutti giovani, sciocchi e innamorati.  


Il quarto stadio, la DEPRESSIONE, è quello in cui il nostro livello di autostima tocca i punti più bassi in assoluto. L'essere umano arriva a credere che un oblio ben confezionato dentro cui possa sparire, sia la panacea di tutta la sofferenza che sta provando.  Abbiamo un'attrazione e un amore che spingono così forte che arriviamo a giustificare quello che, in definitiva, non è altro che il nostro carnefice, solo per amarlo un'altra volta.



Ma ecco che Spanky e Alan vedono il traguardo, l'ACCETTAZIONE. Dai che ce l'ho fatta, pensa tra sé Spanky non vedendo l'ora di riattaccare il telefono e proseguire con la sua vita.  Quando però Alan cade in quello che sembra un loop senza uscita in cui prende a saltellare impettito da una fase all'altra delle prime quattro come la pallina di un flipper, il nostro eroe teme che sia tutto perduto, soprattutto il suo tempo. In una boutade di rivalsa, a un certo punto Alan paventa l'impegno di coprire il dolore che prova con un bastimento pieno di sesso occasionale ma Spanky, che non crede nel detto "chiodo schiaccia chiodo", gli suggerisce invece di provare con una traghettatrice.  Se non avete mai sentito usare questo termine prima d'ora è perché l'ho inventato. Le traghettatrici, per quanto mi riguarda, mi hanno salvato la vita. Quella emozionale, perlomeno. Senza di esse il mio cuore sarebbe inaridito e si sarebbe ridotto fino alle dimensioni dell'uva passa. Come spiego nel capitolo, le traghettatrici e i traghettatori, molto spesso non sapranno nemmeno della vostra esistenza, e certamente non capiranno mai della centralità che hanno avuto nella vostra vita.

Cito:  

. . . la traghettatrice è colei che ci aiuta a superare quel momento critico della fine di una relazione importante, quando risulta impossibile sia all' alcol che agli amici. Ha il potere di trascinarti fuori dal tuo stato di commiserazione e darti uno scopo: lei. Il potere curativo di un sogno.


Nel romanzo, pur camuffandone l'identità, ho ringraziato pubblicamente le mie, che non hanno mai saputo che peso abbiano avuto per la mia salute mentale. Una mi ha salvato dai tentacoli di una storia decennale a fasi alterne che mi ha quasi distrutto due volte e la seconda mi ha strappato dalle grinfie di una relazione tossica e assurda in cui, oggi, faccio fatica a capire come possa aver pensato che avrebbe funzionato e mi avrebbe reso felice per il resto della Vita.  


Contento di quel consiglio, Alan ringrazia Spanky e gli dice che, visto quanto spesso Virginia parli dei suoi coinquilini, anche per lui è ormai come se li conoscesse. Quando Enrico ha la conferma di essere in cima alla lista nera di Virginia i due si salutano, per non sentirsi mai più e il capitolo si conclude con una breve riflessione sulle cose che tendiamo a dire con slancio, ispirati dal momento.

Ogni promessa va presa per quello che è: aria. Nient' altro, non c' è nulla per cui affidarsi a loro una volta che hanno lasciato la bocca di chi le ha pronunciate, pur se il loro proprietario ci credesse davvero con tutto il cuore. Non è cattiveria e non è cinismo, va bene crederci ma sono i fatti quelli che più contano, che hanno l'unico valore degno di scambio.

Concludiamo questa puntata davvero molto introspettiva e fin troppo seria per quelli che sono i propositi di Chi più Re di noi con l'analisi del brano scelto per il capitolo: 

Captured by Brian Kennedy.  

Faccio già a meno di dirvi che sono sicuro che non la conosciate perché ormai l'antifona l'ho capita ma spero vi piacerà. È una di quelle canzoni che mi sarei trovato spesso a sparare a volume alto nelle orecchie e che avrei cantato a squarciagola rotto la doccia quando avessi avuto il cuore spezzato, una bolla di suono in cui far riverberare ogni grammo di dolore per consumarlo prima che lui potesse consumare me. Una canzone che avrei provato a strimpellare con quella chitarra trovata nell'appartamento di Bologna che qualche vecchio inquilino aveva lasciato assieme all'intera collezione di dvd piratati di Mazinga Zeta. Mi sarei spellato i polpastrelli a tenere bene gli accordi e a dare al tutto la parvenza di una performance decente che non facesse sanguinare le orecchie di chi aveva la sfortuna di abitare con me in quel momento.  Ho ingolfato svariati lettori Mp3 con canzoni di questo genere soprattutto durante gli anni di liceo e gli anni universitari perché la ricerca non era fortunata e priva di insidie. Sono brani davvero difficili da ascoltare fuori da un certo stato emotivo, nel senso che non se ne può comprendere la forma autobiografica finché non siamo pronti per accettarla e accoglierla.






Chi più Re di Noi: la ragazza che ascoltava i Guns N' Roses

Editore: Andaluso Errante Books
Prima Edizione: Dicembre 2016
Seconda Edizione: Ottobre 2020
Genere: Narrativa Contemporanea


Quarta di copertina: "Bologna. Una nuova ragazza è venuta ad abitare nell’appartamento sopra a quello di Enrico, Tette’ e Zanna, solo che nessuno l'ha ancora vista. Il primo si è convinto che si tratti della donna della propria vita ed è deciso a incontrarla, il secondo si è offerto di curarne l'irrequieta smania di svegliarli nel cuore della notte facendole assaggiare un po' del toro da monta qual è, l'ultimo non è sicuro che il fantasma dello zio morto in quella casa la lascerà in pace.
Cecilia e Virginia alzano gli occhi al cielo"


NB: da qualche giorno è disponibile anche la variant cover dedicata a John Belushi e Animal House!
Costa solo 1.50 in più rispetto alla classica perché è in copertina rigida!



Qualche Recensione: