Alessio Chiadini Beuri: Una morte da eroe

mercoledì 13 novembre 2019

Una morte da eroe












Arrivai alla banchina numero 4, quella che avrebbe potuto riportarmi a casa.
Ad accogliermi trovai una melodia fischiettata da un tizio armato di fucile a pompa. Deciso ad unirmi alla banda gli feci risuonare il mio piombo di fianco alla testa.
Dovevo aggiustare la mira.
L’uomo, che imbracciava il fucile in una posizione comoda per le lunghe attese, voltò la canna verso di me con l’ausilio di un braccio solo e fece fuoco. Anche lui non aveva avuto la possibilità di mirare al bersaglio grosso e graffiò l’aria vicino alla mia giacca.
Era un consiglio che gli sarebbe tornato utile nella vita dopo questa dato che quaggiù il bonus lo aveva già usato tutto.
Scesi un altro livello. A quanto pareva dai cartelli, erano in corso dei lavori di manutenzione e l’accesso era limitato al personale autorizzato. Come no.
L’uomo col fucile a pompa stava facendo la guardia a quell’ingresso. Le scale erano inghiottite dall’oscurità, il binario era transennato e uno dei treni era fermo a metà tra la banchina e la galleria retrostante. Nessuno altro a parte il sottoscritto. Se la zona era così sgombra non c’era motivo di tenerci una sentinella armata di tutto punto.
Deciso ad approfondire andai verso un’altra porta di servizio. La abbattei con un calcio e mi trovai di fronte la nuca di un uomo che teneva sotto tiro un cristo della polizia metropolitana.
Entrai in fretta nel campo visivo dell’assalitore, esattamente come la nebbiolina rosa che la beretta fece sgorgare dalla sua testa e che finì a sfrigolare sul neon sul soffitto.
«Mi hai salvato, amico!» il poliziotto respirava con affanno.
«Cosa sta succedendo?»
«Un massacro. Questi assassini sono comparsi dal nulla. Ci serve aiuto! C’è un telefono nella centrale comandi di sopra!»
«Buona idea.»
«Allora seguimi.»
Gli coprì le spalle finché non giungemmo di fronte alla serratura elettronica della porta d’accesso della Control Room. Fu allora che capì l’uomo col fucile a pompa.
«Aprila e poi fatti da parte!» ordinai all’agente. «Dammi un’istante.» dissi tornando nel corridoio fino al cadavere della sentinella. Raccolsi il fucile a pompa, tolsi il bossolo che mi aveva sparato addosso e lo sostituì con una della cartucce che gli trovai in tasca. In quell’istante risuonarono un campanello e il rumore sfiatato di un dispositivo idraulico che entrava in funzione. Come quello di una porta blindata.
Mi voltai in tempo per vedere la testa dell’agente saltare in aria. Non mi aveva aspettato ed era andato avanti da solo con il nostro piano.
Bella morte da eroe, amico.
Le porte automatiche erano programmate per richiudersi quindi, quando gli uomini coi fucili dall’altra parte mirarono alla mia testa mentre mi facevo scudo con il corpo dell’agente ammazzarono solo le finanze del municipio con la parcella del manutentore. Per fortuna, il codice inserito sembrava avere definitivamente sbloccato le serrature perché la luce sul display accanto alla porta era passata dal rosso intenso al verde radioattivo.
Mi preparai ad entrare sparando. Con il gomito azionai il pulsante d’apertura e il caratteristico rumore di sfiato del sistema pneumatico lavorò per aprirmi la bocca dell’inferno.
Un altro corpo giaceva di fronte a me, a metà tra il disimpegno in cui mi trovavo e la control room vera e propria. Un altro poliziotto. Non ebbi il tempo di controllare le sue condizioni perché cominciarono a spararmi addosso. Uno era appostato dietro un grande quadro comandi al centro della stanza, un altro si trovava dietro una trincea improvvisata fatta da una scrivania ribaltata.
Sparai verso il primo ma colpì un quadro elettrico. Una ragnatela di scintille sbucò dalla consolle e fece qualche passo prima di svanire nel nulla. Tanto mi bastò per inquadrare dietro il mirino la faccia dell’uomo sorpreso dal gioco pirotecnico e farla saltare. Un ruggito mi spinse indietro una spalla. L’uomo dietro alla scrivania sparava all’impazzata con due pistole mandando in pezzi il mondo attorno a me. Probabilmente aveva visto qualche film di troppo di cowboy e indiani. Peccato non prendesse il bersaglio nemmeno per sbaglio e la mia spalla era stata il centro più preciso che aveva fatto fino a quel momento. Quando le pistole dal texano dagli occhi di ghiaccio scarrellarono a vuoto uscì dal buio in cui mi ero rifugiato e arricchì la grande mappa delle linee metropolitane con un graffito di sangue e buchi di proiettile.
Ultima fermata.
Solo quando mi staccai dal muro mi ricordai della spalla. La frugai con lo sguardo e le dita oltre i lembi stracciati. Un colpo di striscio. Quello che i duri nei film definiscono “graffio”. Quello che però non dicono mai è che brucia da matti. Ma ci avrei pensato poi.
Presi possesso della control room per mettere ordine a quel marasma.
Controllai gli accessi restanti, nel caso ci fosse qualcun altro che morisse dalla voglia di farmi spegnere le candeline. Uno era chiuso a doppia mandata; dietro al secondo trovai la stanza dei bottoni. Oltre a diversi monitor a parete spiccavano i quadri di tensione dei binari. A Roscoe Street si incrociavano tre linee: la 2, la 4 e la 5.
Le ultime due funzionavano regolarmente. La 2 era spenta. Sbirciando in uno dei monitor di servizio capì qual era e in che condizione versasse: era quella del treno a metà tra la galleria e la banchina. Non vidi altri movimenti.
Uscendo dalla stanza notai, in un mobiletto, una cassetta di primo soccorso. Non sarei stato così fortunato da trovarci del whisky per lenire il dolore ma mi sarei accontentato di un paio di cerotti. Anche per quelli niente da fare ma mi guadagnai una scatola di antidolorifici. Presi due pillole e mi infilai il flacone in tasca.
Dovevo ancora trovare Alex.



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