Alessio Chiadini Beuri: agosto 2011

lunedì 29 agosto 2011

La regola di PLATINO






L'embargo è finito!
L'estate passa la mano e incassa.
La città si ripopola e tutte le brave formichine tornano per ricominciare a piangere fino alla prossima buona stagione.
COUNTDOWN.
No, davvero. Ieri, questa, sembrava una città post-apocalittica: le strade deserte su cui potevi ballare come Gene Kelly, gli incroci da Route 66 in mezzo a cui ti potevi sdraiare, i semafori a scandire un traffico invisibile, niente code agli uffici postali, sempre la gazzetta libera sul bancone del bar.
Oggi invece il sogno si è infranto e i rumori della vecchia città hanno raggiunto le mura come un'orda barbarica.
Non avrei mai pensato di rimpiangere quello che ho maledetto fino ad un giorno fa. Sorpresa!
E' come se nella mia testa ci fosse ancora il suono di un simpatico scherzo: il moccioso più grande e stronzo della covata per simpatia ti buca con uno stuzzicadenti il palloncino che i tuoi ti hanno appena preso. Il palloncino più bello del mondo, tra l'altro. POP!

Ridi, piccolo bastardo, da grande ti farai tutte le ragazze che merito io.

Oggi ho sentito Cecilia. Cecilia divide l'appartamento con me ed è la mia migliore amica.
Mi ha detto di aver passato un'estate fantastica in Grecia e mi ha promesso che mi racconterà tutto nei dettagli quando torna. E' una chiacchierona, ti riversa addosso copiose emorragie di parole, di piccoli particolari. Le piace raccontare le storie nella maniera più precisa possibile, senza dimenticarsi nulla. Tiene conto anche delle piccole sfumature. Ma è simpatica e ha sempre un consiglio giusto nella borsetta quando ne ho bisogno.
Ascolto il ritorno delle piccole abitudini, delle cose di cui un mese fa non mi accorgevo nemmeno.
L'isolamento è finito. Tutti tornano alla loro vita.
Mi sono preso una bella strigliata per non essermi fatto sentire.
Mi succede spesso.
Sono un po' ciò che si dice un orso. Un lupo solitario. Un asociale. Della specie più mansueta, intendiamoci.
Penso sempre che gli altri abbiano di meglio da fare che uscire con me. Che abbiano già una loro vita, che abbiano già i loro programmi, le loro feste, i loro impegni. Ed io sono un intruso, uno arrivato dopo, un incomodo, un comodino. Utile se c'è, se no amen.
E non parlo di persone qualunque. Parlo dei miei migliori amici, di gente che considero come fratelli.
Si, è sbagliato, ma è la filosofia che sta dietro ad ogni disadattato sociale.
Non gettate la spugna con loro. Anche loro sanno amare.
Io e Cecilia siamo amici dai tempi del liceo. Io conosco le sue piccole magagne, lei ha preso in affitto un garage per le mie. L'amicizia tra un ragazzo ed una ragazza è strana. Non ti ci puoi azzuffare, per esempio.
Un uomo ed una donna possono instaurare un rapporto fraterno, ma c'è un decalogo da tenere a mente.
EVITARE OGNI CONTATTO FISICO è la regola di Platino.
La regola non scritta è che si può essere amici se non c'è attrazione da parte di nessuno dei due, altrimenti prima o poi qualcosa si incrina ed i sentimenti, che sono legati alle ragioni del cuore più che alla testa, cercano di trasformarsi in qualcos'altro. E lo fanno con quell'ostinazione autoritaria che non fermi nemmeno a cannonate. Agli zombie puoi solo sparare in testa.
La postilla in fondo al contratto dice che nessuna delle regole sopra citate deve essere ritenuta del tutto vincolante:
Il Maschio è fondamentalmente un MAIALE e prima o poi ci proverà comunque, anche se non gli piaci.

Io e Cecilia siamo solo amici.
Solo a lei avrei potuto dire dell'inquilino del terzo piano.
Tetteballerine mi avrebbe preso per il culo mezz'ora prima di prendere in mano la scopa e bussare al soffitto con proposte di tipo sessuale così cruente che si vedono soltanto in certi tipi di porno...brividi. Orrore. Punta di curiosità. Internet. Brividi.
Si, mi sono convinto che l'inquilino sia in realtà una Lei.
Ieri il pianerottolo del terzo piano aveva un incredibile odore di Bouquet Fiorito.
Per un maschio single lontano dalla mamma tutto ciò rimanda ad una donna. L'igiene è donna.
Cecilia mi ha dato dello stronzo sessista e poi si è messa a ridere.

-Questa casa ha bisogno di te, Ceci.-
-I detersivi sono nel mobile sotto il lavello.-
-C'è un mobile sotto il lavello? FIGO.-








sabato 27 agosto 2011

Il re del palazzo




Ammetto di averci guardato.
In questi giorni sono stato più attento, più silenzioso, più accorto.
E' la sindrome del finesettimana. In tutta sincerità non posso dirvi che ero annoiato a morte e che è per questo che ho passato delle mezz'ore con l'orecchio alla porta, con il naso all'insù appostato nella tromba delle scale, andando su e giù per il palazzo deserto nella speranza di captare un movimento, una voce, un cigolio di porta, una nuca che spuntasse.
Tutto questo con il risultato di farmi sentire solo più idiota.
Non è colpa mia se Tetteballerine si è portato via la playstation: è sua.
Non è colpa mia se il palinsesto televisivo non fa altro che trasmettere teenage-movie di serie B dove se non sei un dodicenne scaltro e ribelle allora sei un adulto imbecille che non sa allacciarsi le scarpe.
Vogliamo parlare di quei varietà senza senso che ti appollottolano l'ultima voglia di vivere che avevi per sputartela appiccicaticcia con una cerbottana mentre stai aprendo il rubinetto del gas e infilando la testa nel forno?
L'80% li conduce Carlo Conti. Il resto Enrico Papi. ma è giovane, il ragazzo si farà.
Non è colpa mia neanche non avere una fionda per tirare ai piccioni dal terrazzo. 
Anche la fionda era di Tetteballerine.
Tetteballerine è uno dei miei coinquilini. Non scrivo il suo nome per non creargli imbarazzo, sapete.
In questi giorni mi manca. Certo, ora come ora mi mancherebbe anche un attacco di diarrea, per tenermi occupata un po' la giornata, almeno. E per molte cose Tetteballerine è come un attacco di sciolta, ma ci vogliamo bene lo stesso.
Sono il re del palazzo: vado e vengo a mio piacimento, rincaso quando voglio, mi intrattengo con il pakistano dell'alimentari sotto casa che quando mi vede ora allarga un sorriso e sembra chiedersi dove vada a fare la spesa; scorrazzo sul tetto e mi sporgo sul traffico fiacco del pomeriggio che prende un po' di colore verso sera. 
Appoggiato alla ringhiera delle scale sembro un eroe da film alla Humphrey Bogart: scuro in volto, la sigaretta all'angolo della bocca, la tesa del cappello a far ombra agli occhi, il collo dell'impermeabile sollevato a proteggere la nuca dal vento gelido di una notte di appostamento. E lo sguardo, lo sguardo tagliente e fisso, gettato lontano che sembra aver sempre un pensiero brillante ed una risposta pronta.
Il terzo piano è rimasto in religioso silenzio ogni volta che sono andato a fargli visita durante i miei passaggi. Dell'inquilino non so niente. L'etichetta sul campanello è sbiadita.
Mi sto convincendo sempre di più. Le vecchie case fanno un sacco di rumori inquietanti.
Un po' come mio nonno.



giovedì 25 agosto 2011

Summer in the City


Questa città in estate non è niente male.
Continua a ripeterlo, bravo, forse comincerai a crederci.
In giornate come questa c'è sempre una canzone che mi si accende in testa. Sembra quasi che io rimanga qua per farne parte.
I Lovin' Spoonful cantavano nel 1966 che é una città bollente quella in estate, il mio collo sta diventando sporco e consunto...sembra che non ci sia un'ombra in città (Hot town, summer in the city, back of my neck getting dirty and gritty...Doesn't seem to be a shadow in the city).
E' la stessa cosa anche oggi: i negozi chiusi, non un fabbro disponibile all'incauto che ha rotto la chiave di casa nella toppa, non una biblioteca o una sala studio aperte con quei fantastici getti di aria condizionata che sono una condanna per la salute, il giorno dopo, ma una manna divina per l' hic et nunc. Ed è adesso che mi porto appresso il peso dei libri e in lontananza vedo il miraggio di un libretto pieno di belle firme illeggibili.
Tutto questo non c'è però, l'unica cosa di cui questa città sembra aver bisogno, un bisogno primitivo ed insaziabile che se venisse a mancare scatenerebbe una sommossa popolare, è il gelato.
Benedetto sia il gelato. Ho già provato a studiare in gelateria, niente da fare: mangio e guardo le ragazze che arrivano.
E fa caldo. Molto Caldo. E loro sono poco vestite. Molto poco vestite. E...bhè...fa caldo!
Perciò anche oggi picche allo studio. Chi ci sarebbe riuscito tra l'altro. La noia deve avermi fatto un altro scherzo comunque, ma è strano: per annoiarti devi prima non-aver fatto niente. Io invece dormivo.
Sabato mattina. Niente sveglia per principio. Non mi sono mai scapicollato per lanciarmi sui libri nè per passarci la notte insieme.
Ho sempre avuto una sola regola: non si studia dopo le 7 di sera.
Indipendentemente da che ora avessi cominciato. Su certe cose non transigo.
Conoscete quella strana sensazione che a volte precede il risveglio in cui i sensi catturano il mondo esterno e lo confondono con il sogno che state facendo?
Bè fatto sta che mi sono sono ritrovato dal gestire un Bed&Breakfast in riva al mare senza alcuna nozione di come si accende un fornello o di come si sbatte un uovo all'essere catapultato nel mio liceo, alla lavagna, di fronte ad un professore che mi chiedeva una formula di fisica che io non sapevo nemmeno esistesse. Immaginate il delirio, il senso di inettitudine, l'espressione ebete sul mio volto. E il prof insisteva, incredulo che non capissi cosa dovessi fare. Poi ecco che si avvicina e prende il cancellino e comincia a fare tabula rasa, ma mica strofina, no: picchetta il bordo di spugna alzando nuvolette di gesso.


Paf. Paf. Pafpaf. Paf. Paf. PafPafPaf. Paf. Paf. Paf.


A quel punto si arma di una chitarra elettrica fatta di aria e con le dita descrive un assolo sul niente.


She's got a smile that it seems to me 

Reminds me of childhood memories 

Where everything Was as fresh as the bright blue sky...


Vabbè, mi sveglio. PAF. PAF. PAFPAFPAF. PAF. Recito qualcosa che non posso ripetere. Il soffitto. strizzo gli occhi affogati nella luce della finestra. Il terzo Piano. Metto a fuoco. PafPafPaf. Paf. Paf. Rumore di sedia che stride. La musica muore all'improvviso e tutto torna al silenzio benedetto del sabato mattina.


Chi ascolta i Guns' a quest'ora?











martedì 23 agosto 2011

Fu un pomeriggio d'agosto...

Devo essermelo sognato.
Non c'è dubbio, sarebbe da me: sapete, da piccolo ero un bambino con una fervida immaginazione.
Spesso giocare da solo era più divertente che farlo con gli amici. Ogni giorno era un'avventura diversa, nuova e fantastica. Come di quelle che mi rapivano da tutto, dal sole, dai prati verdi, dalle partite a pallone e mi tenevano incollato davanti alla televisione in camera mia.
Le mie avventure si potevano anche ripetere, ancora e ancora, uguali a se stesse e se volevi, diverse. 
Sognare è una delle poche cose che nessuno può portarci via. Non si può. Forse solo essere FELICI rende l'uomo libero dalla dolce prigione di un carcere di sogni. A colui che è abbattuto e senza speranza in fondo resta sempre un ultimo sogno: addormentarsi.
Ma questo pomeriggio...non posso avere l'assoluta certezza dei miei sensi. Sapete, il caldo, la morsa dell'afa, i mille rumori che in un appartamento vecchio come questo si alternano e confondono lo spettatore di una tv che trasmette a random, che sonnecchia cercando una buona scusa per posticipare ancora la preparazione degli esami di settembre. Tutto ciò concorre a non rendermi sicuro di aver effettivamente sentito qualcosa, che ubriaco di noia e sciolto dalla calura d'agosto mi sia tracannato il cervello.
Questo pomeriggio una serie di passi vellutati è passata in fretta nell'appartamento di sopra. Il tutto non è durato che una manciata di secondi ma tra il lamentarsi di un frigorifero che ci sta definitivamente salutando e il cigolare delle finestre, aperte nell'attesa di uno sputo di contraria, la sensazione che qualcuno stesse passando su al terzo piano è stata inequivocabile.
Come quando SENTIAMO di essere osservati. E' una presenza fisica certa. 
Adesso il soffitto tace. Per essere il 23 agosto è abbastanza normale. I fuorisede sono tornati tutti a casa.
Ci siamo solo io, le telecronache di Guido Meda e il frigorifero che non vedrà l'autunno.