Alessio Chiadini Beuri: uno spietato vendicatore solitario

sabato 16 novembre 2019

uno spietato vendicatore solitario



Se Lupino stesse spianando la strada alla seminfermità mentale per quando gli avrebbero finalmente messo le manette ai polsi o avesse ormai oltrepassato il confine della follia lo avrei scoperto solo quando me lo sarei trovato davanti. Fino a quel momento dovevo agire pensando allo scenario peggiore. Jack Lupino era convinto di essere un figlio della Bestia, perciò immortale e onnipotente. Chi pensa a un piano B per quando verrà arrestato, invece, ha anche paura di morire, come un vero essere umano.
L’ufficio di Lupino proseguiva in un corridoio angusto, finendo per inerpicarsi in un’affusolata scala a chiocciola, perfetta per farsi sparare nella nuca e morire in ginocchio.
Mentre salivo, la polvere che cadeva attraverso i gradini di metallo forati mi irritò gli occhi e li riempì di lacrime. Me li strofinai con mani ancora più lerce ma l’anima gridava più forte una sofferenza che non si sarebbe placata con qualche zuccherino. D’altronde, un corpo non può sopravvivere senza anima e a me non andava di essere solo un bel sacco di carne, seppur affascinante, come non smetteva di ricordare mia madre a tutte le amiche del bridge del martedì sera.
Sbucai proprio dietro il quadro dell’impianto luci. Mi orientai grazie al grande occhio azzurro che torreggiava nella prima sala. Una serie di passerelle traballanti sospese a corde si perdevano nella fitta oscurità della volta. Il retropalco doveva condurre verso il santuario di Lupino. L’aria irrespirabile sembrava innalzare muri invisibili, fortificati dall’odore di un incenso dolciastro e appiccicoso come resina.
Era quello il cuore in putrefazione della Grande Mela. Lupino doveva essere vicino, come un ragno al centro della sua ragnatela, in attesa. I vapori di incenso mi facevano girare la testa. Su un divano c’erano resti di una lettera strappata. Puncinello aveva messo in guardia Lupino. La missiva era stata accartocciata ed era ricoperta di sangue.

“Non voglio nemmeno pensare che uno dei miei uomini non stia al gioco. Ricorda, Jack, che stiamo concludendo un affare. Non vorrei essere costretto a mandarti il Trio a farti visita.”

Il Trio erano gli uomini di fiducia del capofamiglia. Era chiaro che Lupino non si era lasciato intimidire dalla minaccia. Gli appunti di Lupino ricoprivano il tavolo. A Jack mancava sicuramente qualche rotella. I fogli erano scritti col sangue e parlavano di demoni, magia nera, cerimonie arcane ed evocazioni di antiche divinità.  Al centro della stanza un altro pentacolo circoscritto da cinque candelabri.

“Belzebub, Asmodeus, Baphomet, Lucifero, Loki, Cthulhu, Lilith Hela…scorra il sangue per tutti voi.”
Voleva seguire le orme di Faust: la sua anima in cambio di potere e ricchezza. Basta firmare con il sangue sulla linea tratteggiata.
Jack Lupino era un pazzo furioso.

“Lupi mannari sorgete per divorare il Sole e la Luna! Io sono il lupo, io sono la Bestia, io sono il Signor-Fine-Del-Mondo! Io sono colui che indossa la carne degli Angeli decaduti!”

Dopo l’anno duemila, la fine del mondo era un cliché abbastanza comune. Ma chi ero io per parlare? Uno spietato vendicatore solitario soverchiato dalla lapide della Giustizia.
Distolsi l’attenzione da quella lettura così coinvolgente e per un momento continuai a sentire le invocazioni che mi erano appena passate sotto gli occhi.

ASMODEUS.
BAPHOMET.
LUCIFERO.

No, non si trattava dell’eco nella mia testa ma di una nenia precisa.

LILITH HELA.

Avevano organizzato un Sabbath e si erano dimenticati di invitarmi.
Monotona e ripetitiva stancava e cullava le orecchie.
Mi si rizzarono i capelli.
La voce, le voci, non sapevo più quante scandivano il nome di divinità norrene, inneggiavano al sacrificio rituale, declinavano il nome dell’Angelo decaduto e…ringhiavano.
Ringhiavano.
Gesù Cristo.
Cosa avrei trovato in fondo a quel sentiero di simboli esoterici, croci capovolte e sequenze numeriche scritte nel sangue?
Riconobbi alcune scritte in ebraico, l’inchiostro era colato giù dalla traccia striando le pareti di lacrime vermiglie. Non azzardai neppure per un istante ad appoggiarmi alle pareti. Filai dritto verso quel coro inquietante e irresistibile. Mi scrollai la stanchezza dalla testa scuotendola nervosamente. Il soffocante odore di incenso si accoccolava sulle palpebre come un torpore invitante. Tentando di tenere aperti gli occhi li spalancai. Se avessi sentito arrivare uno sbadiglio avrei affondato le unghie nei palmi.
Ecco come le sette raccoglievano seguaci, come li persuadevano a credere in una realtà deviata e a rifiutare altro che fosse ragionevole. Le tecniche di ipnosi non venivano insegnate da un pezzo all’accademia di Polizia ma un veterano mi aveva mostrato i trucchi principali durante gli appostamenti. Guardare dentro la testa di un sospettato era molto utile per ottenere risposte e conferme. Ma i vertici della polizia e la giustizia, oltre alle varie associazioni per i diritti dell’individuo, non furono dello stesso parere quando arrivò il momento di decidere se abolirle o metterle al servizio della comunità. Restava il fatto che lo smarrimento temporaneo della coscienza di se stessi e dello scorrere regolare del tempo erano ancora mezzi potenti per chi voleva spingere una convinzione nella testa di qualcuno e convincerlo che fosse tutta farina del suo sacco.
Avevo così fretta di prendere una boccata d’aria nuova che mi lanciai verso la fine del corridoio senza verificare di avere campo libero. Per lo meno mi ci fiondai spianando la Desert Eagle e la Magnum. 

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