Alessio Chiadini Beuri: fuoco dal cielo

sabato 16 novembre 2019

fuoco dal cielo

                   


«Figlio di puttana!» esclamai. Ancora confuso dai fumi di incenso, la nenia monotona senza fine, la spossatezza, credetti di aver fatto un giro completo del locale e di essere tornato al punto di partenza. Anche se sapevo che non era possibile, non riuscì subito a smettere di credere che potesse essere vero.
Eppure, i dettagli.
Furono i dettagli a convincermi di non trovarmi più nella sala a cattedrale. Le navate, quelle c’erano ancora, erano adornate da drappi neri lunghi fino a terra, un tessuto così leggero da muoversi senza aliti di vento. Bastava che qualcuno respirasse dall’altra parte della stanza. Ci vedevo attraverso. Al centro della navata maggiore, una fontana riempiva una vasca con un liquido denso e scuro, dalle sfumature rossastre. Due lunghe file di alti candelabri facevano tremolare le ombre del mondo dai gambi sghembi di candele sfinite. Dove più facilmente ci si sarebbe aspettato di trovare un altare di marmo bianco e un sacerdote dalla lunga tunica, scendeva invece un pesante sipario color pece. In quella scelta cromatica da immortale figlio di Vlad L’Impalatore, solo la moquette che ricopriva la navata centrale, costituiva una variazione sul tema. Dava certamente più colore all’insieme, ma nel modo sbagliato. Era di colore rosso vivo, come il sangue nei polizieschi di serie B.
Me ne stavo ancora fermo ad ammirare quello scenario che un bagliore attraversò il mio campo visivo e una fiammata avanzò verso di me. L’odore di alcol mi colpì come un pugno quando una seconda stella cometa annunciò la venuta di tre vecchi stronzi con una manciata di doni. La seconda molotov si frantumò più vicino e una frastagliata macchia di fuoco mi investì le gambe. Mi scansai mentre un’altra di quelle bombe artigianali mi sfiorava la schiena come il brivido inatteso di una pessima notizia. In una manciata di istanti l’inferno che Lupino auspicava era diventato realtà.
Il fuoco avvampò divorando tutto ciò che si trovava sulla sua strada. La pioggia incendiaria scendeva da alcuni ponteggi dall’alto controsoffitto spiovente. Il buio, la distanza a cui si trovavano e la luce accecante del fuoco mi impedivano di vedere quanti fossero a lanciare anche se era chiaro che si fossero appostati in tre punti diversi. Le molotov continuavano a cadere giù a ritmo serrato, in parabole ampie e maestose.
Lupino mi aveva preparato un funerale vichingo.
Grazie ma non ne ero degno. Qualcuno lo avrebbe lo meritava prima di me.
Il fuoco ruggiva. Pareti di fiamme si ersero quando raggiungendo i drappi sottesi tra le navate. Il calore mi prendeva a schiaffi per dritto e per rovescio. C’era solo un modo per non trasformarmi in una torcia umana: fare un bel tuffo nella fontana, dove il sangue che ancora usciva dai miei graffi si sarebbe unito a quello delle vittime di Lupino. Ecco Max Payne, precipitato nel più caldo girone dell’inferno.
Troppo tardi, ragazzi. La mia vita era già un inferno a occhi aperti. Al massimo potevo cogliere l’occasione di un bel barbecue.
Rivolsi la magnum verso uno dei ballatoi e sparai. Centrai soltanto una della bottiglie in caduta e una fiammata di vetro, alcol e scintille si sfogò attorno a me. Il mio secondo proiettile si conficcò in una balaustra di legno, ma almeno riuscì a distrarre tanto l’uomo lassù da interrompere momentaneamente quello suo scagliare di fulmini e saette. Con la visuale liberata dal riverbero delle fiamme individuai meglio il mio avversario. Il terzo centrò il tizio sulla passerella e lo spinse a farmi vedere come gli veniva bene l’imitazione di un uomo che cade.
E fu davvero bravo, molto convincente.
Dopo un minuto il cadavere fu completamente avvolto dalle fiamme. Mi spostai nell’ombra del ballatoio ora liberato per poter dominare l’area di scontro. Gli altri due tizi sarebbero stati adesso costretti ad allungare la gittata dei loro lanci e molte bottiglie, infatti, finirono in frantumi contro la passerella, dando vita a una pioggerella di fiamme liquide. Un sipario di perline tremolanti che contribuirono a sottrarmi alla loro mira.
Prima che la aggiustassero ammazzai il lanciatore di fronte a me. Non spiccò il volo ma si abbandonò, spossato, in una posa esausta. L’ultima molotov, già incendiata, finì ad alimentare quelle ancora inerti accanto a lui. Una vampata si elevò come un’erezione gloriosa inghiottendo la passerella e tutti i suoi occupanti.
Peccato che fu un’esibizione che non potei vedere.
Mentre freddavo il tizio sulla seconda balaustra, regalandogli un posto in prima fila per quel capodanno anticipato, una bottiglia mi colpì in pieno petto, rintoccando sullo sterno. La mia fortuna volle che non si ruppe subito.
L’ordigno volteggiò per quello che credetti mezzo secolo. La forza centrifuga teneva il liquido lontano dalla stoffa incendiata. La fiamma azzurrognola era simile al bagliore degli incantesimi della strega nella fiaba preferita della mia piccola Rose. Aveva l’aspetto di una natura mortale ma si trattava solo di una finzione scenica. Avrei potuto passarci le dita in mezzo e non mi sarei bruciato, ne ero ormai certo. La bottiglia ebbe il tempo di rigirarsi in aria cinque volte, le contai, prima di fracassarsi sul pavimento. Io avevo deciso intanto di proiettarmi di lato e mentre il dolore nel petto finalmente arrivava a destinazione togliendomi il fiato con una pugnalata, l’innesco della molotov liberò un ragno di fuoco che si allungò sul pavimento con le sue mille zampette pelose, pronto all’attacco.

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