Alessio Chiadini Beuri: Dentro il libro e oltre: DELICATESSEN

giovedì 12 maggio 2022

Dentro il libro e oltre: DELICATESSEN


 Enrico,Cecilia e Virginia sono andati tutti insieme a una mostra d'arte. Dove non è difficile immaginare le due ragazze in un contesto così colto, è un po' più strano vederci Spanky, anche se tra la compagine maschile di Chi più Re di Noi è di certo quello che in giro fa meno figure di merda.

L'ispirazione per scrivere questo l' ho presa dal film "Harry ti present Sally", nello specifico dalla scena ambientata al Metropolitan Museum di New fork. Avete presente quando Meg Ryan si mette a ridere per un battuta di Billy Crystal e istintivamente  guarda una in macchina, aspettandosi che le riprese venissero interrotte?




Ecco, volevo sperimentare come Enrico si sarebbe comportato in una situazione a lui poco familiare. Il titolo del capitolo è un easter egg che testimonia questo debito cinematografico: Delicatessen è infatti il nome del ristorante, che esiste davvero, in cui è ambientata la scena più famosa del film, quella in cui Meg Ryan mostra al personaggio di Billy Crystal, donnaiolo ,come le donne siano brave a simulare l’orgasmo tanto da ingannare ogni uomo.


Un'interpretazione così realistica che anche Youtube pensa che sia un orgasmo vero e lo oscura!

Il capitolo comincia subito con Enrico che fa polemica con Cecilia in merito al costo dell'audio guida, il cui prezzo è giustificato solo se ci fossero i Queen a cantare le didascalie delle opere esposte. C'è anche spazio per un omaggio al film "Tre uomini e una gamba" quando Enrico fa un commento su un'opera d'arte contemporanea consistente in due linee di colore su sfondo Bianco. 




Enrico si giustifica per la rozzezza dei suoi modi rompendo la quarta parete e rivolgendosi a noi per spiegarci che lui è uno di quei tipi che le imposizioni non le può proprio sopportare anche se si tratta dell' interpretazione di un quadro astratto da parte di un critico di nota fama. Lui vuole sentirsi libero di vederci quello che vuole. Un'attitudine, confessa, che lo ha sempre portato a percorrere sentieri impervi anche se la strada comoda era a pochi passi di distanza. Sotto questo aspetto gli anni del liceo sono decisamente stati i peggiori. Superato il primo imbarazzo iniziale, quello, diciamo, di riscaldamento in cui non hai ancora ben capito dove sei finito e con chi, grazie un affiatatissimo gruppo di compagni di classe scemi come e più di me (sono gli stessi con cui proseguiamo la tradizionale tombola dello schifo natalizia) abbiamo passato indenni i cinque anni che precedono quella che dovrebbe essere l'età della piena maturità (allerta spoiler: non lo è nemmeno per sbaglio). Gigioneggiavamo smargiassi a lezione, continuando a prendere voti onorevoli e facendo sbuffare disperate le compagne di classe che volevano copiare a menadito tutto ciò che il prof scriveva alla lasagna, leggeva pari pari dal libro di testo o farneticava cercando di farsi trovare simpatico. È lì che penso si sia formato definitivamente il mio umorismo, lo stesso di cui grondano le pagine di Chi più Re di Noi. Un umorismo che, per mia fortuna, rivivo ancora oggi grazie alla chat di classe che regala autentiche perle quotidiane. 




Comunque, a nostra parziale discolpa c’è da dire che la scuola italiana permette a certi soggetti impresentabili di insegnare e di essere di ruolo, per altro. Ho una grandissima stima per il mestiere dell’insegnante ma non sempre questa ammirazione riesce a passare ai suoi ambasciatori. È contro questo che ci battevamo mentre ci prendevano gioco dell'insegnante di storia che ha passato tutto un inverno con lo stesso maglione e la stessa camicia e potevi sentirlo arrivare con cinque minuti d'anticipo per via dell' odore di cadavere; ci battevamo per la professoressa di italiano che spiegava leggendo le didascalie del libro di testo infarcendole di "…appunto…" e "…quindi…" messi a caso per spacciare il tutto come farina del proprio sacco. Ci sono anche professori che ho amato nonostante abbia odiato il modo in cui mi facevano sentire, c'è da dirlo. Nessuno mi ha fatto amare la letteratura come l’insegnate di francese che mi interrogava tutti i santi giorni per darmi un risicato 5 politico standard. Eravamo rumorosi, impertinenti e guasconi. Io sono addirittura riuscito a farmi sbattere fuori dalla classe mentre avevo una gamba rotta e deambulavo solo grazie a un paio stampelle, tanto per farvi capire. Vi rasserenerà, però, sapere che la situazione docenti, all' università, è peggiorata molto. Anche perché non avevo più i miei compagni accanto per superare le difficoltà.
In uno slancio telefonato di autobiografismo spudorato, ho fatto raccontare a Enrico come a oggi penso di essere stato durante il liceo: il primo termine di paragone è l'uomo invisibile perché, in quei cinque anni trovare me stesso, capire chi fossi e, soprattutto, accettarmi mi hanno catapultato da una crisi esistenziale all'altra tanto che il cambiamento non è stato solo interiore ma anche esteriore. Se un anno ero magro e scanzonato, l’anno dopo ero fatalista e gonfio, una stagione spensierato e trasognante, quella successiva triste e innamorato. Ho subito così tante trasformazioni che ero convinto di non poter rimanere impresso nella memoria di nessuno (compagni di classe a parte) e di non poter piacere ad anima viva (questo serve anche a spiegare perché, in campo amoroso, non ho battuto mezzo chiodo nemmeno quando ero gradevole da vedere). 



Il secondo paragone deriva, invece, dal film degli anni '80 The Breakfast Club: il ribelle John Bender. Per coloro che conoscono questo iconico film sanno già che sto parlando del personaggio misterioso, magnetico e provocatore che trascina la storia e gli altri protagonisti a rivelare se stessi e a scoprirsi in un sabato di clausura scolastica. Un accostamento che  mi è stato attribuito da uno di quei compagni di classe di cui vi ho raccontato. Probabilmente per il suo modo spiccatamente sbruffone di scontrarsi con i rappresentanti dell'istituzione scolastica. Non voglio dirlo ad alta voce ma segretamente ne vado molto fiero. 




Torniamo però alla storia che, in fondo, siamo tutti qui per questo e anche se Enrico fa queste stesse digressioni mentali durante la visita al museo perdendosi la metà delle spiegazioni delle opere che Virginia si è gentilmente prestata a fare, quando è presente e concentrato sulle parole dell'amica non riesce a non farci sopra dell'umorismo. È stata una scelta consapevole quella di far comportare Enrico come uno stronzetto antipatico e petulante perché volevo verificare quanto virtualmente potessi essere stato insopportabile in certe situazioni quando non mi esimevo dal fare a tutti i costi il simpatico disturbando la lezione, o mi distraessi così facilmente perché di quello che spiegava il prof me ne fregava meno di nulla. Devo dire che ho provato a me stesso che se mi ci metto d'impegno posso essere davvero snervante e togliere la pazienza a un santo. Una presa di coscienza che non mi ha fato smettere, comunque. È così che ho scelto di combattere il potere. 




Provando a essere partecipe e non perdere l'amicizia di Virginia e Cecilia, Enrico dice la sua sulle opere che incontrano ma, trattandosi di una mostra d'arte moderna, i soggetti dei quadri non sono sempre ben a fuoco e il ragazzo ci mette spesso del suo, vedendoci scene che ha vissuto con Alena, la sua ragazza, raccontandone aneddoti senza troppe censure. Solo che, a un certo punto, di fronte al quadro di quello che sembra un cane che cerca di correre sul ghiaccio, da Virginia arriva un secco vaffanculo, che Enrico non ha visto partire. 
Sbigottito, domanda a Cecilia, che è rimasta accanto a lui, che cavolo di accidenti sia appena successo. L'amica, alzando gli occhi al cielo, gli risponde che, visto che la storia tra Virginia e Alan è appena finita, lei è piuttosto sensibile sull'argomento. Enrico ribatte che niente di quello che Cecilia ha appena detto ha senso, visto che è Virginia che ha lasciato Alan, non il contrario. Questa cosa a me personalmente non è mai successa ma quando il dialogo mi ha portato a questo punto mi è sembrato comunque un buon esempio di come, a volte, noi maschietti ci troviamo spiazzati da alcuni salti logici femminili. E poi prestava il fianco a una battuta e non ho potuto sottrarmi.



Non contenta, Cecilia gli dice pure di andare da lei e scusarsi per essere stato il tipico maschio insensibile e Enrico non può far altro che raccogliere tutte le sue perplessità e fare la cosa che all'apparenza sembra la più giusta. 
Sia Virginia che Enrico ammettono, l' una di aver esagerato e l’altro di essere stato uno stronzo che non credeva che la fine della sua storia con Alan le pesasse ancora così tanto, offrendole la sua spalla per sfogarsi, se le va. Virginia rifiuta ancora prima che l' eco dell'offerta di Enrico si sia dissipata ma si sente così generosa da dargli un consiglio per la sua storia con la bella Alena: che vivano la loro vita, che non si annullino nella storia d'amore o nel partner, che restino individui ben distinti che condividono un sentimento che li spinge a stare insieme.
Cinica questa Virginia, voi direte, e non è che abbia rivelato chissà quale segreto di Fatima. Bè, andiamoci piano con i giudizi affrettati: se ho l’onore di parlare a una platea di fenomeni mi do un buffetto orgoglioso al mento ma io c'ho messo un bel po' ad afferrare la nozione che l'amore corrisposto sia solo uno dei fattori di quella complicata equazione che bilancia l’intensità della felicità di ciascuno di noi. 



A me, che fosse tanto scontato, non è mai sembrato. Per la mia natura, dotata di brevetto di volo pindarico dodicesimo Dan, sommata a un'infanzia culturalmente forgiata sul fatto che l’eroe di turno abbia sempre una principessa da salvare o per cui sacrificarsi, uscire dal meccanismo che è possibile essere felici anche senza avere un rapporto serio con un'altra persona o che, pur avendolo, questo non impedisca agli altri interessi di coesistere, non è stato facile neanche per sbaglio. È stato il sopraggiungere della maturità, anche se è ormai bene che mi rassegni a chiamarla vecchiaia, ad aprirmi gli occhi su quanto sia sbagliato, ingiusto e controproducente sparire in una storia e vivere solo in funzione di essa. Prima di tutto perché la storia non è detto che duri per sempre e, se hai svuotato il tuo mondo precedente per dedicarlo a lei, quando probabilmente finirà e tu dovrai raccogliere i cocci e ricominciare da capo, sul fondo di quel mondo svuotato non ci troverai altro che vecchie cianfrusaglie di quello che eri una volta e che, ormai, non sei più perché il tempo è passato e hai fatto terra bruciata della vecchia vita. Non si può affidare a nessuno un potere così grande dato che solo noi rimarremo con noi per tutta la vita. Il secondo motivo è che per essere interessanti e continuare a far innamorare ogni giorno quella persona di noi, dobbiamo darle un motivo. Non possiamo vivere esclusivamente in funzione sua, aspettando un suo segno o un suo cenno perché quando finalmente toccherà a noi fare qualcosa, non sapremo di che altro parlare se non di lei. Noia e tedio sono l’anticamera dell'infelicità, del tradimento e della separazione. Per questo Virginia ha troncato la sua relazione con Alan, nonostante lo splendido viaggio a Parigi: non voleva qualcuno disposto a vivere nel suo riflesso ma qualcuno che facesse luce insieme lei. 




La canzone: Solsbury Hill - Peter Gabriel

Ho scelto questo pezzo di Peter Gabriel per accompagnare Delicatessen per due motivi:
Il primo è perchè un fenomeno come Peter Gabriel non poteva mancare da questa colonna sonora e secondo perchè anche a coloro che non dovessero essere ferratissimi in inglese, grazie a un arrangiamento cucitogli addosso come un abito di alta sartoria, è chiaro fin dal primo ascolto che si tratta di un pezzo capace di scavarti dentro e aprirti il petto in due. Col sorriso. Quel sorriso di consapevolezza che ti si stampa in viso e che si diffonde in tutto il corpo con un pizzicore che ti fa sentire vivo come non mai. Solsbury Hill è una di quelle canzoni a cui penso subito quando ho bisogno di immergermi, e dare corpo e voce, a ciò che è per me libertà. Una libertà intima, mai dichiarata ad alta voce, solitaria.

Buon Ascolto!






Chi più Re di Noi: la ragazza che ascoltava i Guns N' Roses

Editore: Andaluso Errante Books
Prima Edizione: Dicembre 2016
Seconda Edizione: Ottobre 2020
Genere: Narrativa Contemporanea


Quarta di copertina: "Bologna. Una nuova ragazza è venuta ad abitare nell’appartamento sopra a quello di Enrico, Tette’ e Zanna, solo che nessuno l'ha ancora vista. Il primo si è convinto che si tratti della donna della propria vita ed è deciso a incontrarla, il secondo si è offerto di curarne l'irrequieta smania di svegliarli nel cuore della notte facendole assaggiare un po' del toro da monta qual è, l'ultimo non è sicuro che il fantasma dello zio morto in quella casa la lascerà in pace.
Cecilia e Virginia alzano gli occhi al cielo"


NB: da qualche giorno è disponibile anche la variant cover dedicata a John Belushi e Animal House!
Costa solo 1.50 in più rispetto alla classica perché è in copertina rigida!



Qualche Recensione:



Nessun commento:

Posta un commento