Alessio Chiadini Beuri: Dentro il libro e oltre: No Vacancy for Erasmus

venerdì 27 novembre 2020

Dentro il libro e oltre: No Vacancy for Erasmus


 


Se fino a ieri avevamo scherzato, con “No vacancy for Erasmus” il gioco comincia a farsi serio. In un ennesimo capitolo “pillola” si ravvisano una summa di tutti gli elementi che coloreranno il resto del romanzo. Fino a “La regola di Platino” il lettore viene preparato a quello che succederà con parole confortanti: un dottore che ci rassicura che sentiremo solo un pizzico appena prima di farci la puntura e ci massaggia il culo con un batuffolo di cotone imbibito nell'alcol. No vacancy for Erasmus è il pizzico, che proprio indolore non è ma che ancora non è il peggio. Quello arriverà quando lo stantuffo nella siringa comincerà a scendere e il liquido inizierà a diffondersi bruciando come l’inferno. Questo il lettore deve aspettarsi dal vaccino contro la normalità che Chi Più Re di Noi ha preparato per lui sperando che, a un certo punto, la cosa non prenda la piega di un esame della prostata.

Ma non è il momento di preoccuparci, ascoltiamo il dottore e speriamo che dica il vero.


No Vacancy for Erasmus parla di Bologna vista per la prima volta da un forestiero di provincia: tutto e tutti si mostrano da un prospettiva nanesca anche se si è più alti della media nazionale. La paura, l’ignoto e l’insicurezza, lo sappiamo, hanno la capacità di farci vedere tutto molto più grande di quanto in realtà non sia, e molto più minaccioso. Ma con questo non voglio dire che Bologna mi apparve minacciosa, la prima volta. Nient’affatto. Per fare un paragone azzardato, fu come quando Harry Potter entra per la prima volta a Diagon Alley attraverso quel muro di mattoni. Ogni cosa trasudava magia, ogni strada, ogni scorcio, ogni edificio era avvolto da una coltre di affascinante magnetismo. L’aria di Bologna è frizzante, ricca di opportunità. Un brulicare di uomini, mondi e storie sempre in movimento, come un fiume di vita: mentre ne ascolti una, centinaia di altre corrono via, trascinate dalla corrente senza poterle rincorrere o sperare di ritrovarle più in là. Bologna non è mai uguale a se stessa. È un organismo in costante trasformazione in grado di mantenere la sua identità e la sua magia intatte nel tempo. Bologna non è solo edifici, storia, aneddoti. Bologna sono le persone che la vivono, che la attraversano. 

Bologna è spirito, è stato d’animo.

Per un iscritto alla facoltà di Lettere e Filosofia, corso in Antropologia, Bologna è più che altro via Zamboni, al 38, la sede che è sempre la prima a divenire oggetto di scioperi, autogestioni, proteste. Ne ho visitate di altri sedi nel corso dei miei studi bolognesi ma il 38 è l’unico che sembra la casa dei Delta di Animal House reduce da una festa pazzesca delle loro. E questo nei giorni normali. Nei giorni di lotta il 38 si trasforma in una Beirut deflagrata dalle bombe. 

Oltre a murales più o meno elaborati, più o meno artistici, più o meno politici o divertenti, via Zamboni, piazza Verdi e le strade intorno hanno muri e muri imbrattati di avvisi di ricerca coinquilini del genere più disparato: scritti a mano, con pennarelli sottili, a matita, evidenziati, con numeri di telefono da strappare, con foto che dovrebbero inquadrare scorci di appartamento ma che invece sembrano opere d’arte moderna da quanto non si capisce un cazzo. Il titolo del capitolo deriva dal fatto che molti di questi annunci di convivenza recavano la scritta NO ERASMUS. 

La cosa mi stupì. 

Cioè, a stupirmi non era la tendenza dell’essere umano a ghettizzare i suoi simili, che è ben nota, quanto più perché non riuscivo a figurarmi i motivi specifici che avevano generato questa decisione unanime non programmata. 

Che combinavano gli Erasmus negli appartamenti di Bologna? 

Questo è un mistero che ancora aleggia sulla città e di cui non sono riuscito a venire a capo ma almeno mi è servito come spunto per creare l’ALSEf (Associazione Libera Soccorso Erasmus - femmine). 

Ma andiamo con ordine.


Una vera esperienza con uno studente Erasmus non l’ho mai avuta, ma questo non vuol dire che non l’avrei voluta. Più che altro, per quasi tutto il periodo universitario il vero erasmus sono stato io, questa è la verità. Il pendolare è il vero erasmus, emarginato come Giuda, non viene trattato bene nemmeno per compassione dato che, a differenza degli studenti stranieri, conosce bene la lingua e non ha quel che di esotico che anche se hai un’estetica più assimilabile a quella di un pitale, prima o poi qualcuna ci casca e per pietà te la smolla. Il pendolare non se lo calcola nessuno. Arriva giusto giusto per l’inizio delle lezioni e quando gli impegni accademici finiscono, non può rimanere nemmeno per la parte più bella dell’università, gli aperitivi in via del Pratello, perché deve correre come stronzi fino in stazione e tornarsi a casa. I veri reietti sono loro ed era giusto che qualcuno lo dicesse.

Solo quando mi sono trasferito le cose hanno cominciato a cambiare. Purtroppo, però, avendolo fatto solo al terzo anno tutti i compagni di corso ne avevano avuto ormai a sufficienza della vita notturna che Bologna offriva e si affrettavano a laurearsi e a passare di livello. In ogni caso non posso lamentarmi, ho visto e fatto cose che mi porterò dietro per sempre. Come il mezzo infarto per correre fino a San Luca inseguendo una forma fisica accettabile.

Come dicevo, in No Vacancy for Erasmus c’è il primo accenno all’Alsef, associazione libera soccorso erasmus (Femmine). Davvero uno dei più brutti acronimi mai scritti. Nonostante questo non l’ho mai voluto cambiare perché non si possono disconoscere le prime volte. In fondo, queste costituiscono una linea di confine che si oltrepassa solo una volta nella vita, come Sam Gamgee e quel passo fuori dalla Contea che sarebbe stato il primo mai fatto così lontano da casa.


I membri dell’ALSE(f) sono in servizio 7 giorni su 7, 24 ore su 24, il lavoro non li spaventa, il conto non vi spaventa ma è il martedì Erasmus il giorno in cui Bologna punta, sulla coltre di nubi che la avvolgono, un faro per richiamare gli eroi di cui ha bisogno ma che non merita. Durante il Martedì Erasmus i locali si affollano di studenti e studentesse stranieri a cui vengono riservati sconti e per cui si organizzano feste ed eventi di ogni sorta. Bere in economia e abbassare la guardia è quindi ciò che basta ai membri Alsef per avere successo e farsi acclamare con sacrifici rituali e idoli d’oro dai propri simili.

Comunque sia, in No Vacancy for Erasmus bastano poche righe per fare deflagrare, uno dopo l’altro, un rosario di ricordi e easter egg: 

1- Il motto di rimorchio che ha Tetteballerine («Punta la gnocca ubriaca!») è una citazione presa pari pari da “40 anni vergine”, il peggior film horror che abbia mai visto. Sul serio, mi ha fatto cacare addosso dalla paura.


-Alessio, ma 40 Vergine non è un film Horror.

-Lo dici tu, ma se siete dei ragazzi di 20 anni che non hanno ancora provato il piacere di un rapporto consensuale con un altro essere umano, e scoprite che qualcuno ha fatto un film sulla vostra vita, vi sfido a mantenere la calma. Sì, perchè, oltre alla condizione di castità c’era tanto altro, troppo, che avevo in comune con il personaggio interpretato da Steve Carell. Lui va a lavoro in bicicletta, tanto per cominciare.

-Massì, che vuoi che sia!

-Si infilava il bordo dei calzoni dentro il calzino così da non sporcarlo con il grasso della catena.

-Sei come mio nonno, ma fidati: è solo una coincidenza.

-Lavorava in un negozio di elettrodomestici e io da 4 anni passavo tutte le estati lavorando all’Euronics di Forlì.

-Ecco forse…

-Lui era impiegato lì come magazziniere e indovina un po’ qual era la mia mansione?

-Avrebbe fatto cagare a spruzzo anche me, hai ragione…

Vorrei a questo punto tranquillizzarvi annunciando ufficialmente, in diretta mondiale, che il sottotitolo del film della mia vita non potrà più essere “40 anni vergine” ma che resta in piedi il ballottaggio tra “L’attimo fuggente” e “Scemo & +Scemo”.

2- Ritorna l’antropologia urbana con il Sistema Waikiki, in cui non ho fatto altro che dare un nome fico a un’antica consuetudine degli uomini-guerrieri per infondersi coraggio prima di affrontare una battaglia che sarà dolorosa e che potrebbe essere l’ultima. Vi invito a scoprire di che si tratta in Chi più Re di Noi.

3- Introduciamo il concetto di “ruttoconlegambe”, mutuato dall’amico Foc e in gran voga nella gelateria (De Fanti) in cui ho lavorato per tre anni imparando un sacco, ridendo di brutto e vedendone di tutti i gusti…ehm…colori. Un ruttoconlegambe è la declinazione romagnola del più noto e inflazionato cessocoipedali, ma molto meno divertente. 

La Romagna ha una marcia in più, non c’è niente da fare!

La canzone che ho scelto come accompagnamento musicale è Baba O’Riley degli Who. Il motivo è semplice: è un brano che fondamentalmente si basa sull’attesa, quella dell’intro lunghissimo e leggendario, completamente strumentale. È attesa gloriosa come il riscaldamento che l'atleta fa prima di scendere in pista e dare tutto se stesso. Un momento di stasi che, per assurdo, è colmo di fervore e forza. Lo stesso stato d’animo che hanno i ragazzi come Zanna, Tette e Spanky prima di uscire di casa e mostrarsi al mondo e meritarsi uno spazio, in quel marasma, per restare al sole. In quella convinzione che a tutto o niente, a successo o sconfitta non ci siano alternative e compromessi e che una figura grama ti marcherà a fuoco per sempre. 


NB: l’immagine di copertina di questo episodio di Chi più Re di Noi penso che credo raffigurasse una giovane Lindsay Lohan parecchio alticcia, che si sposava bene con la condizione in cui descrivo i soggetti erasmus soccorsi dal nostro manipolo di eroi.






                                 
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