Alessio Chiadini Beuri: ottobre 2020

sabato 31 ottobre 2020

Dentro il libro e oltre - Speciale Halloween: A nightmare on 666 St. (inedito)

 


Per l’approssimarsi dell’halloween 2020, probabilmente il giorno meno spaventoso di un anno che fa cacare sciolto da quando è cominciato, ho voluto ripescare un capitolo che non era entrato nell’edizione del 2016, non per demeriti ma per una obbligata scelta dovuta ai limiti di spazio. Probabilmente, se avessi inserito tutti i capitoli inediti che avevo scritto sul blog, il romanzo avrebbe sfiorato le mille pagine e costato approssimativamente 35 euro. Ma visto che di problemi di spazio e prezzo non ne ho più, quella del 2020 potrebbe anche essere soprannominata Chi Più Re di Noi Author’s Cut, 500 pagine per 15,00 euro prezzo cartaceo, copertina figa che può arredare una stanza, il guadagno non mi spaventa, il prezzo non vi spaventa. 


Devo dire che, per molto tempo, ho snobbato questo capitolo che, originariamente, era diviso in tre parti. Erano ancora i tempi in cui i post erano abbastanza corti da poter essere letti in cinque minuti. Avrei sbracato non molto tempo dopo, senza pudore, con post chilometrici e articolati che mi richiedevano una settimana di scrittura. Per non parlare poi delle saghe (post chilometrici non autoconclusivi la cui storia si sarebbe prolungata in altri post chilometrici non autoconclusivi). 

A Nightmare on 666 st. Non mi aiutava a portare avanti la trama principale, quella della scoperta dell’inquilina del terzo piano e fu anche per questo motivo che, a suo tempo, decisi di non includerlo nella prima edizione. Era una storia che approfondiva i protagonisti e le loro dinamiche interpersonali dentro un contesto che per me è stato uno dei primi divertissement e cambi e genere che hanno poi caratterizzato il mio stile di autore umoristico.

Quando si parla di letteratura horror il mio campionario autoriale è molto ristretto, non ho vergogna ad ammetterlo: fin da piccolo mi sono passati davanti agli occhi solo enciclopedie di storia del XX secolo, con particolare attenzione alla seconda guerra mondiale (perdevo intere giornate a sfogliare foto di scheletri di edifici crivellati, di soldati spaventati con in braccio un fucile e addosso una divisa logora e  le irreali pose statuarie dei gerarchi, abbacinati da una realtà falsata dai loro altisonanti discorsi), copie dei fotoromanzi di Grandhotel (della nonna!) e ogni pubblicazione che avesse Stephen King scritto bello in grande in copertina, colorato, cromato o sanguinante. Si contano sulle dita di una mano i romanzi di genere horror che ho letto che non fossero stati scritti dal “re del brivido”. In questi ci sono anche una sfilza infinita di Piccoli Brividi (sì, li conto come romanzi, non rompete), il primo fu “Spaventapasseri Viventi”, bellissimo! Nitidamente, ricordo per certo anche “Monster” di Christopher Pike.


Tutto il resto della mia cultura Horror l’ho ereditato dai traumi avuti durante l’infanzia grazie ai film in seconda serata di Italia 1 e dai vari Nightmare visti di pomeriggio in casa degli zii. Nulla, però, mi segnerà quanto la visione in prima Tv assoluta di IT, nel lontano 1993. Lo trasmetteva Canale 5 alle 20:30 e lo guardai con i miei. Mi chiedo sempre come abbia fatto mia madre a permettere a un bambino di sette anni di vedere un mostro che staccava le braccia ai bambini, che veniva fuori dallo scarico delle docce della scuola per mangiarti con i suoi denti gialli da squalo. Se lo chiedete a lei, vi dirà che non è vero, che non facevo la prima elementare e che non ero nel letto con papà e mamma. Sappiate che mente. Pennywise è stato il mio amico immaginario per i successivi 6-7 anni: mi seguiva ovunque e gli piaceva da matti nascondersi sotto il letto e dietro agli angoli bui della mia stanza.


A nightmare on 666 st. si apre alla chiusura, come il boccino d’oro, facendoci vedere in che condizioni versano i nostri:


[…]una Virginia inzuppata di sangue, una Cecilia insabbiata, un Tetteballerine in converse e boxer e Zanna sporco di fuliggine ed un campanello stretto nel pugno. Ed io? Bhè, io ho un solo dubbio: perché ogni volta finisce che mi fa male il culo?

 

Letteratura alta, signori miei, che volete. 

Poi la storia riparte dall’inizio: la notte di Halloween si decide una cena di appartamento (i ragazzi si sarebbero volentieri imbucati in qualche feste di dubbia reputazione per poter fare sfoggio del loro savoir-faire e giacere con qualche vampiressa sexy ma visto che le ragazze sarebbero rimaste a casa per non aver ricevuto nessun invito da nessun maschietto infoiato e da nessun grippo di amiche, si sacrificano per far loro compagnia). Menziono questa parte perché fa la comparsa una delle pietanze che mi ha tenuto in vita nei miei giorni bolognesi insieme alle scatolette di tonno, ai pomodori rossi e alla pasta in bianco (ero arrivato ad alternare e mischiare questi tre semplici elementi, e solo questi, in modo che alla lunga non mi stancassero, smagassero o mi facessero sorgere un’intolleranza da sfogo cutaneo imperitura): la Don Russo, una torta salata preparata esclusivamente con prodotti acquistati presso il supermercato In’s sotto l’appartamento di via Saffi. La ricetta rimane segreta ma ve ne svelerò brevemente le caratteristiche nutritive: veniva fatta da uno dei coinquilini almeno una volta a settimana, due se era una settimana fortunata e, anche se credo la facesse solo per se stesso, ce ne servivamo tutti. Fungeva da spuntino durante la preparazioine degli esami, come dessert a fine pasto, come colazione prima del caffelatte. Le calorie contenute in una singola fetta sarebbero bastate ad alimentare Rocco Siffredi per tre mesi e credo di non essere diventato un ciccione proprio grazie al bilanciamento di tonno e pomodoro da insalata quando la Don Russo non era disponibile.



Tutto questo però non prima che Tetteballerine faccia il suo discorso ben augurante, sul tetto del condominio in stile Alan di Una notte da leoni. Ho reinterpretato il discorso sul branco in stile Accademia della Crusca. Da non perdere. 

Lascio a voi l’onore di riscoprire come va a finire questa storia e come Spanky, Tette’, Zanna, Cecilia e Virginia si siano ridotti in quel modo in una notte di Halloween che non dimenticheranno facilmente (funerale vichingo annesso) e passo direttamente alle chicche citazionistiche che ho sparso sapientemente come Carlo Cracco che sala i piatti prima di farli uscire. 

Oltre ai libri e ai film, per tutti i ragazzi che hanno la fortuna di nascere in Italia, Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo, costituisce una fonte economica e succosa per chiudersi in stanza e sfogare il proprio desiderio viscerale di sangue, putrefazione e violenza. Uno dei primi albi che ricordo di aver letto ad avermi impressionato è Il Buio, nr. 34 del 1989 con sceneggiatura scritta da Claudio Chiaverotti. Lo ricordo perché l’antagonista Mana Cerace era simile al Freddy Krueger che mi aveva già traumatizzato l’esistenza. In A Nightmare on 666 St. Ho riportato un brano della filastrocca che compare nell’albo, così evocativa da portare il grado di disagio ancora più in alto durante la lettura del fumetto. 

Per anni e anni non sono piu riuscito a prendere sonno senza avere una luce accesa da qualche parte, le lenzuola ben ripiegate sotto il materasso e il nonno a dormire sul divano di fianco a proteggermi dai mostri. 

Sempre un omaggio a Dylan Dog è la trasformazione che riguarderà Zanna dopo aver subito un grande spavento. Avremo un Groucho in carne ed ossa per tutto il resto della storia. 


Non potevo non omaggiare anche Ghosbusters I e II in una storia di Halloween, ma lascerò a voi scoprire dove. In un romanzo umoristico come Chi più Re di Noi non ci si caga solo addosso ma si ride anche, a volte da non trattenere la vescica (per questo consiglio sempre di iniziarne la lettura dopo aver fatto una capata in bagno. Alcuni, invece, lo tengono direttamente sul mobile di fronte al water - Max), e per questo ho nascosto un omaggio a Scary Movie 2 che non voglio rivelarvi. Ricordo di essere andato a vederlo al cinema, all’Odeon di Forlì con i miei compagni di classe del liceo e di essermi sfondato di risate per la scena della palla da basket (Video). So di avere un senso dell’umorsimo tutto particolare, per cui solo io mi sganasciai tanto davanti a quella scena, così come feci quando alle medie un professore ci fece vedere Tempi Moderni. Solo io risi quando Charlie Chaplin, improvvisato cantante, cercava disperato per tutto il locale, continuando a cantare, i polsini su cui si era scritto il testo, che gli erano volati via per aver salutato il pubblico con eccessivo zelo.




Un altro aneddoto che provocò in me una reazione simile mi fu raccontato da un compagno del liceo (Dyna) e dato che avevo intenzione di non dimenticarlo l’ho infilato, come mi capita spesso, in una delle mie storie: è quello del rivolo di diarrea nel risvoltino dei pantaloni. Non ricordo il racconto per intero ma so che aveva a che fare con suo padre, un attacco non simpatico di diarrea in un luogo non ideale e un paio di jeans troppo lunghi e che avevano avuto bisogno di un risvolto tattico. 

Le lacrime, davvero.



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venerdì 23 ottobre 2020

Dentro il libro e oltre - Chi più Re di Noi (la musica): Summer in the city & Sweet child o mine

 





Summer in the city non è solo il secondo capitolo di quello che sarebbe poi diventato quel romanzo gargantuesco, eccessivamente lungo per un libro che si pone un intento tanto nobile quanto far ridere. Alla lunga un certo tipo di comicità e di escamotage narrativi stancano e ciò che era iniziato come una piacevole lettura, frizzante e sopra le righe, diventa uno di quegli imbarazzanti film rebootizzati per la dodicesima volta (tipo Psycho o I Fantastici Quattro).

All’epoca, però, non pensavo a niente di tutta questa filosofia letteraria e scrivevo per scrivere, per non perdere quello slancio che, per quel tipo di scrittore come me, è perla rara (io sono uno di quelli ridicolmente attaccati a una liturgia di creazione che ha bisogno dei suoi tempi, dei suoi modi, dei suoi spazi e dei suoi umori e che senza il manifestarsi contemporaneo di tutte le condizioni ideali non scrive nemmeno una riga. Salvo che poi, durante il flusso creativo, realizza che tutte le seghe mentali spariscono lasciando soltanto l’unica certezza, monolitica e tautologica: ‘Scrivi e basta, coglione! Era così difficile?’)

In Summer in the city avevo appena preso l’onda della storia e cercavo di mettermi in piedi sul surf, senza ancora sapere se fossi riuscito a starci per un minuto o per un anno e avevo tempo di fare molti piani. In tutta sincerità, per la prima decina di capitoli il traguardo mi è sempre stato piuttosto oscuro: mi lasciavo guidare dall’istinto e dalla scintilla di follia che avevo atteso così a lungo per inseguire. Quello che sapevo è che dovevo far parlare Enrico, conoscerlo e capire cosa avrei potuto fargli fare. Il fatto che sia un personaggio in parte autobiografico non mi dava lo stesso il permesso di fargli fare quello che mi pareva, altrimenti avrei scritto soltanto la storia della mia vita e tutti avreste comprato un altro libro, di un altro autore. Dovevo delineare un personaggio che potesse arrivare a convincersi che i rumori provenienti dal soffitto appartenessero ad una ragazza e, di quella stessa ragazza, farlo perdutamente innamorare. Per questo motivo la noia di giorni estivi trascorsi in una città deserta mi avrebbe spianato la strada per quell’estremizzazione dei sensi e per quel parziale straniamento dalla realtà che cercavo.

L’estate non è esattamente la stagione che preferisco e conosco anche troppo bene il tedio e il ripetersi incessante di giornate sempre uguali a se stessi, dove il divenire è rallentato e il futuro è oltre la linea dell’orizzonte, invisibile agli occhi e al cuore.

Così, per dare il giusto mood al capitolo ho ripreso senza vergogna, il titolo della canzone dei Lovin’ Spoonful che quelle brutte sensazioni me le faceva ricordare così bene. Ho piazzato la cover dell’album del 1966 come immagine del post e, non pago, ne ho tentato anche una traduzione dall’inglese al “chiadinese”. 

Ma perché sembra che mi accanisco contro questo brano e i suoi autori, che mi hanno fatto di male? 

Assolutamente nulla, ci mancherebbe, manco ci conosciamo. In effetti, non avrei saputo della loro esistenza se non fosse stato per il film Die Hard 3. Un giorno, l’anno non lo ricordo proprio ma erano gli albori di Youtube e il mondo dell’internet era ancora più sconfinato e permissivo di quanto è diventato poi, cercavo contenuti inediti (almeno per me) dei miei film preferiti e fu allora che mi imbattei in un montaggio tributo in cui ritmo e azione si sposavano talmente bene da farmi desiderare di ascoltare e riascoltare la canzone fino a che non l’avessi interiorizzata.



Die Hard 3 si svolge in una lughissima giornata estiva nella torrida Los Angeles con un Bruce Willis scazzato al massimo che prima passeggia in mutande per la città con un cartello in cui dice che odia i “negracci”, poi sfancula telefonicamente un terrorista che ha appena fatto esplodere un edificio minacciando di non fermarsi e vomita sarcasmo e battute al vetriolo su chiunque gli capiti a tiro. Per non parlare della corsa in taxi con il buon samaritano Samuel L. Jackson o della rissa in ascensore che Capitan America scansati proprio. Proprio l’inizio, in cui vediamo un John McCLane sfatto, in canottiera e con i postumi di un’emicrania perforante, mi ha fatto sentire tutto il peso di quelle giornate “no” in cui anche svegliarsi è un crimine contro se stessi. Perciò detto fatto, ecco Summer in the city dei Lovin’Spoonful, ufficialmente il primo brano in assoluto che ha avuto l’onore di rendere palpabili le sensazioni che provavo e che avrei trasmesso dentro qualcosa che avevo scritto.

Per la parte musicale del secondo capitolo di Chi più Re di Noi non è tutto qui. Fanno la loro comparsa anche coloro che costituiscono la costola primigenia, il pilastro portante di questo eccentrico romanzo: i Guns N’Roses e la loro leggendaria Sweet Child o’ mine. Come appartenente all’annata 1986 ed essendo fondamentalmente un vecchio estimatore di un certo rock sconosciuto degli anni ‘70 e ‘80 in un corpo giovane, i Guns non hanno mai fatto parte del mio campionario di musica preferito e, a parte qualche brano, lo rimangono tuttora. Ma non ero io, o Enrico a doverli ascoltare, bensì l’inquilina del terzo piano. Quella scelta calzava perfettamente con l’immaginario collettivo della studentessa universitaria fuorisede: intellettuale, naive e assolutamente alternativa, oltre che bellissima pur non possedendo i canoni delle modelle delle copertine patinate. Quella era l’immagine che si doveva stagliare davanti agli occhi di Enrico: una ragazza con le camicie di flanella legate ai fianchi, con canottiere bianche di una marca non identificata, jeans strappati e Doctor Martens.


È la prima volta che rifletto a fondo sulla cosa ma la rivelazione che vi ho fatto posso giurare che sia autentica. Durante tutta la stesura l’inquilina non ha mai avuto queste sembianze, almeno non con questa accuratezza e definizione. Non è importante immaginarla, comunque. Non è importante immaginarla come vuole l’autore, soprattutto, proprio perchè la sua natura le richiede di essere la personificazione di una fantasia.

Avrei potuto scegliere i Nirvana invece che i Guns, me ne rendo conto ma i Nirvana mi stanno sul catso quindi vai di Guns.




giovedì 15 ottobre 2020

La prima recensione ufficiale di Chi più Re di Noi




Il blog Lucesuilibri.blogspot, dopo 127 Express, ha recensito anche Chi Più Re di Noi.

Jessica Marchionne, la webmaster, gli ha dedicato un lungo ed esaustivo articolo affrontando la storia, lo stile e i personaggi.

Il voto: 🌟🌟🌟🌟🌟 su 5

Ve ne condivido un passaggio che mi ha particolarmente inorgoglito dato che coglie in pieno il carattere di Enrico/Spanky:



[...]Forse effettivamente il nostro Spanky ragiona troppo e quando decide di affidarsi al cuore e non alla mente, ecco che si decide di andare a controllare meglio al terzo piano chi è la misteriosa ragazza che sta facendo quindi soffrire non solo lui, ma anche altre due persone, le ragazze innamorate di lui. Quindi è meglio rincorrere una fantasia o accettare quello che ha? Beh, per Spanky non ci sono dubbi. Su come vada a finire, naturalmente lo lascio alla vostra lettura!

 

QUI  la recensione!


lunedì 12 ottobre 2020

Dentro il libro e oltre - Chi più Re di Noi (la musica): Born Free - Kid Rock






Comincio questa nuova rubrica perché, anche se Chi più Re di Noi è già un libro di una lunghezza spropositata e al limite del legale, penso che non sia stato ancora detto o raccontato abbastanza, anche se tra circa un anno uscirà il seguito.
In quella che è una lunga autobiografia di vita mascherata da romanzo poco impegnato, infarcito da tutta la potenza di cui è capace la mia stupidera, c'è ancora materiale da imbrattare molto tranquillamente le pagine di un Guerra e Pace qualsiasi. E dato che dubito che qualcuno vorrà mai girare un film su di me (con protagonista Jeff Goldblum!) o intervistarmi in tarda età per scrivere le memorie del premio Nobel per la letteratura 2045, tanto vale riempirci i bit di questo mio comodo salotto egoriferito con una punta di vanità.
Coloro che hanno scelto con saggezza Chi più Re di Noi sanno già che ogni capitolo si apre con un brano musicale di mia discutibile scelta. Non ho cominciato a farlo da subito, in quell'estate del 2011 in cui ho iniziato a scriverlo. 
Era un autunno di vendemmia, penso il 2013, e io ero impiegato alla Cantina Sociale di Forlì come addetto alla fossa del rosso, con una tramoggia che andava controllata ogni due secondi perché poteva tapparsi da un momento all'altro inondandoti di mosto, raspi d'uva e lucertole trinciate. Mi svegliavo alle 5:30 ogni mattina e per sei ore filate la mia testa veniva cullata dal morbido rollio dei trattori, delle bestemmie dei contadini e del masticare senza sosta della suddetta tramoggia. Capitò per caso e continuò senza che lo forzassi: ogni mattina una canzone, fiorita nella mia testa e spuntata da chissà dove, mi accompagnava nel viaggio verso il lavoro e restava con me fino a quando dimenticavo di voler essere da un altra parte e di controllare il macchinario sopra di me che sboccava mosto rosso e lucertole morte. 

"Momenti di melma!" [Cit.]


Per quello mi sembrò un'idea sensata fare la stessa cosa per voi, miei pochi, fedeli lettori: consigliarvi una canzone, regalarvi un mood, farvi salire con me su di un ritmo e accompagnarvi in un'avventura.

Chi più Re di Noi inizia in un appartamento universitario massacrato da anni di invasioni di studenti fuorisede, feste pazzesche e incendi dolosi a scopo scientifico. La città è Bologna e l'appartamento, ahimè, è proprio quello in cui ho vissuto durante l'ultimo anno di triennale. 

Perché? Costava poco e volevo finalmente inebriarmi della droga "vado a vivere da solo", anche se da solo mica tanto visto che dividevo una tripla dietro una caserma (con annessa la sveglia di tromba tutte le mattine alle 6:00 e l'ammaina bandiera tutte le sere, tranne la domenica) a venticinque minuti di passeggiata sotto i portici dalla ridente via Zamboni. L'appartamento l'ho lasciato tale quale, così avrei potuto tornarci a vivere, ma senza il rischio di prendermi le piattole.

Da qui la scelta del primo brano di questa colonna sonora lunga 90 canzoni e spicci: Born Free, Kid Rock del quale, per altro, in qualche parte del cervello, sapevo soltanto che avesse una connessione con la bagnina simbolo della TV: Pamela Anderson. Quanto possa essere rilevante questo collegamento lo lascio decidere a voi, io proseguo diritto verso il mio obiettivo.

Quando ascolterete la canzone non troverete temi impegnati o profondi di mogoliana memoria, tutt'altro. È un inno a rivolgersi al futuro senza paura e senza rimpianti, con la stessa cieca fiducia che caratterizza tutti i ragazzi e le ragazze spensierati prima che la vita cali con la scure sui loro occhi trasognanti. Invincibili, immortali, re del mondo: è esattamente così che va per la maggior parte di noi quando approdiamo alla pubertà e arriviamo all'età adulta (che una data d'inizio fondamentalmente non ce l'ha e che per qualcuno non arriva mai). Diventare adulti è un interruttore che scatta da solo, tipo un salvavita, di cui tu ti accorgi anni dopo, quando la leva è ormai incastonata nella ruggine.
.
Ma la mia intenzione non era quella di indurvi alla depressione e, infine, al suicidio e quella che può sembrare una resa drammatica al tempo che avanza, è in effetti uno sguardo oggettivo a quell'età d'oro in cui tutto è possibile e che i più caparbi, e fortunati, realizzano.






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venerdì 9 ottobre 2020

Che cos’è l'umorismo?


L'umorismo è innato in ognuno di noi. È scritto nel DNA della nostra prima cellula. Ognuno di noi risponde a stimoli comici diversi, nè migliori nè peggiori di quelli degli altri, semplicemente diversi. Per esempio ricordo che da piccolo mi consigliarono il libro di Jerome K. Jerome Tre uomini in barca (per non parlare del cane) perchè era un romanzo d’avventura molto divertente. Risultato? Non risi nemmeno una volta e lasciai il libro prima della fine. L’umorismo è sintomo di intelligenza ma è anche una corda che suona una nota che non può sposarsi con ogni tipo di strumento. Il romanzo lo ripresi anni dopo e, quella volta sì, me lo godei sbellicandomi. Quello e il suo seguito, Tre uomini a zonzo.
Di mio sono abbastanza stupido ma prediligo scherzare mettendo a nudo le contraddizioni umane, le moralità assurde, le ottuse prese di posizione, le strutture del pensiero sociale che servono all’individuo per sentirsi integrato tra i suoi simili.
E poi le scorregge. Le scorregge fanno sempre ridere. Ho imparato ad amare la stand-up comedy dei vari Doug Stanhope, dei Bill Burr, dei Luis CK. Del vecchio continente non posso non citare Ricky Gervais, Eddie Izzard e lo scozzese Billy Connolly, il cui umorismo è quello che si avvicina di più al mio. É l’umorismo dell’uomo medio dotato di raziocinio che reagisce con sano scetticismo e un sarcasmo bruciante a ciò che vede attorno a lui.
A te uno stralcio, liberamente tradotto dal mio inglese masticato, di un brano dello spettacolo “Was it something I said?!” in cui Connolly racconta della sua esperienza in un negozio di esoterismo, in cui entrò per comprare dei “braccialetti dell’umore” per le proprie figlie e un’avventrice gli si avvicinò chiedendogli:
 
- Anche lei pratica le arti?
E lui, sorpreso dalla domanda ma senza scomporsi: - Certo.
-Ah, e quale?
-Sono un lettore di piscine.
-Come?
-Sicuro, vengo a casa sua, le monto sul tetto e leggo le foglie che sono cadute in acqua. È come per le tazze di thè, ma più grande.

Genio. Sono morto. 

P.S. non disdegno il panorama italiano, per cui citerei Daniele Luttazzi, Giorgio Montanini, Filippo Giardina...e Nino Frassica (le cui battute da piccolo mi lasciavano completamente F4basito ma che adesso mi fanno piegare).

venerdì 2 ottobre 2020

Chi Più Re di Noi Original Soundtrack Vol.1 MEDLEY




12 brani per il primo volume della colonna sonora del libro campione d'incassi sperati della stagione 2020/2021


 

Trovate il video anche su Youtube (QUI)

Per il romanzo, invece, qui.