Alessio Chiadini Beuri: gennaio 2021

venerdì 29 gennaio 2021

Dentro il libro e oltre: Hamburger di delfino

 


I protagonisti principali ormai li abbiamo conosciuti tutti. O quasi.

Manca Virginia e sì, scoprirete presto perché l’ho tenuta per ultima. Non è un caso.

In “hamburger di delfino" dovrebbe esserci una delle frasi più smaccatamente sessiste del romanzo o, almeno, quella che potrebbe all’apparenza sembrarlo. Nello specifico affermo che i vocaboli “ragionare” (inteso come “giungere a un compromesso tra due o più soggetti attraverso l’uso della dialettica”) e “donne”, raramente si riescono ad accostare all’interno della stessa frase. È una provocazione, non una forma di sessismo quindi non lasciatevi ingannare del primo, roboante impatto. È il risultato più manifesto e frequente della differenza tra la modalità di discussione che assumono le donne rispetto a quella sfoderata dagli uomini. A noi maschietti, generalmente, il conflitto non piace, ce ne teniamo alla larga ben volentieri. Siamo spesso accondiscendenti e voltiamo pagina prima che si possa sentire “Le squadre rientrano in campo per il secondo tem…”. Le donne, o la maggior parte di esse, vivono la diatriba e la discussione come parte fondante dell’esistenza. Ne hanno fatto un arte e scritto la maggior parte delle regole per uscirne vincitrici. Se ci distraiamo, noi uomini, alla fine non riusciamo a ricostruire nemmeno un quarto delle mosse con cui sono riuscite a metterci nel sacco, a convincerci che eravamo noi in torto quando all’inizio eravamo convinti che avremmo invece stravinto. 


Ti sei distratto? Boccheggi come un tonno e aspetti l’asfissia. 

Non ti sei distratto ma senti comunque montare sensi di colpa immeritati? Hai perso, puoi fare ricorso alla VAR ma comunque è fatta. 

Puoi dare la risposta giusta o porre la domanda corretta per aprire una breccia nella puntigliosa ricostruzione che ti ha fatto di come avevi torto marcio ma verrai fatto passare per quello che prende tempo per rispondere perché ci devi pensare, e se ci devi pensare su è perché sai di avere torto.

Ma c’è una terza opzione:, la diatriba la puoi anche VINCERE. Ma è raro e non puoi permetterti di distrarti nemmeno un secondo. 

Quando sei sotto al fuoco e meravigliosamente ottieni la parola con lei devi mantenere il punto, individuare le falle del suo ragionamento e incalzarla, ancora e ancora. Cercherà di deviare l’argomento, di portare all’interno della discussione argomenti non calzanti, episodi passati in cui hai sbagliato e in cui avevi confessato le tue colpe. Sono soltanto distrazioni, sono colpi al costato portati all’unico scopo di sfiancarti, farti cedere, esporre il mento e metterti KO. 

È così che veniamo battuti il 99% delle volte. Perché le donne, in questo, sono più brave di noi e anche perché molte volte siamo effettivamente stati dei cazzoni. 

Le discussioni che non si possono MAI vincere, però, sono quelle contro gli analfabeti funzionali e in questi mesi di crisi mondiale le loro unità, che prima ritenevo sostanziose ma entro determinati limiti salvifici per la razza umana, sono apparentemente aumentate a livelli critici (apparentemente nel senso che c’erano anche prima ma non si mettevano così in mostra commentando - senza leggere - qualsiasi cosa per noia da Lockdown). Contro questi soggetti si può attuare solo un massiccio impiego di cultura cingolata e grugni duri. “Prendili da piccoli”, citazione non è mai stata usata più ad uopo.

Virginia, insomma, è la quinta inquilina di quello sgangherato appartamento bolognese. È l’ultima arrivata e divide la camera con Cecilia. Enrico-Spanky ce la racconta subito come la sua arci-nemica accostandola allo squalo di Spielberg e ai dissennatori letterari di J.K. Rowling (l’arrivo di Virginia nella casa è descritto proprio con la sensazione che ebbe Harry la prima volta che incontrò una delle guardie di Azkaban: profonda tristezza e un freddo avvolgente che si insinua fin dentro l’anima. Disperato, come se non potesse essere mai più felice). Un tipino mica da poco, insomma. L’inizio della contesa tra i due però non viene spiegata nel dettaglio. I due si stanno antipatici, non si sopportano, a malapena riescono a guardarsi e stare insieme nella stessa stanza per più di cinque minuti. Se diamo retta a Enrico, è Virginia che ce l’ha con lui ma della scintilla che ha acceso l’incendio, nessuna idea concreta.


Veniamo a sapere che il primo epico scontro tra Enrico e Virginia finisce con una lista di comportamenti fastidiosi che la ragazza redige per il coinquilino, su sua diretta richiesta. Due in particolare vengono dal mio vissuto: muovere la bocca mentre qualcuno mi parla, come un pappagallo in modalità silenziosa; aver girato in mutande per impressionare, con il mio fisico asciutto (eh, bei tempi!), giovani colleghe di università con cui ho condiviso una foresteria al tempo della mia ricerca per la tesi a Ostuni, Puglia.

Il primo è un riflesso involontario che mi hanno fatto notare per la prima volta al liceo. Credo più che altro sia il segno che sono concentrato su quello che sta dicendo il mio interlocutore. Può essere visto sì, come un tic fastidioso per chi mi parla e magari si deconcentra e perde il filo del discorso, ma allo stesso tempo è un attestato di stima dato che sono veramente interessato a quello che sta dicendo e non guardo il cellulare riemergendone ogni tanto con un’affermazione inutile (eh, lo so) o uno sterile quesito (ma cosa dici?) che non arricchiscono la conversazione.

La seconda nota, quella di mostrarsi in mutande per impressionare, è invece consapevole e cercata e denuncia una totale ignoranza, da parte mia,  di ciò che accende i moti carnali del gentil sesso. Non ho l’elenco di ciò che funziona, ma sicuramente non è lo sfoggio del proprio corpo senza veli. Se non sei Chris Hemsworth. E non lo sei.

Il titolo di questo capitolo anticipa le modalità e le strategie con cui Enrico affronta le discussioni contro la pragmatica, razionale Virginia: l’impiego del paradosso, il ricorso all’assurdo, l’estremizzazione, l’iperbole servono per smascherare le contraddizioni dei punti saldi delle argomentazioni altrui. Provateci, è divertente spiazzare l’altro, portarlo ad uno stallo logico che potrebbe provargli SHOCK e farci vincere la contesa.


La citazione più nascosta di questo capitolo è quella sul ciclo mestruale (inteso come vero e proprio ciclo a pedali su cui si può salire e andare) che il ventriloquo Jeff Dunham fa pronunciare al suo personaggio di maggior successo, Walter. Recuperate tutto quello che potete di questo artista, sottotitolato e non, perché merita.


In ogni caso: si tratta di forme di sessismo becero e violento? No, tutto va contestualizzato. Soprattutto una battuta, che per funzionare deve essere veloce, immediata e d’impatto.

La stessa cosa vale per il romanzo: Chi più Re di noi va letto per intero senza prendere scorciatoie moraliste o inalberarsi in difese inutile a favore della donna. Amo e rispetto le donne, sappiatelo. E non direste così se aveste letto il romanzo fino in fondo.

La copertina originale del capitolo “Hamburger di Delfino” ritraeva la celebra scena di Happy Days in cui Fonzie salta lo squalo facendo sci d’acqua. La canzone da colonna sonora è niente po’ po’ di meno che il tema del film “Lo squalo” di John Williams. Tutto per mostrare quanto grande fosse il desiderio di Spanky di evitare di affrontare l’argomento Virginia, saltandolo a piè pari. Ma come il classico “elefante nella stanza”, prima o poi bisogna farci i conti. Non lo si può ignorare per sempre. E ignorare i problemi non è il modo in cui vogliamo vivere. A noi piace prenderli di petto, misurarci con loro e, se il vento è buono, risolverli. Non ci riusciremo sempre, questo è vero ma troveremo sempre il modo per riderne, prima o poi.

Dobbiamo farlo. Ce lo dobbiamo.

È meglio andare incontrare la vita con una risata che con un viso rigato di lacrime, no?


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martedì 26 gennaio 2021

Mio nonno diceva sempre di no - Francesco Satanassi_ Recensione

 



Sono contento che la prima recensione di questo 2021 sia dedicata a un'opera che tratta di un tema importante come quello della Resistenza al nazi-fascismo. Quella che vi presento oggi, 27 gennaio Giorno della Memoria, è una storia personale, piccola, circoscritta a una ristretta cerchia di uomini, gli Internati Militari Italiani. Un unicum storico, come la scelta che fecero. Un diario, in questo caso di prigionia, essendo scritto al presente, rende più efficace l'atto di immedesimazione del lettore che, provando quei patimenti, quelle sofferenze e quelle ingiustizie come sue potrà ricordarle nel tempo e, magari, farsi testimone, a sua volta.


Mio nonno diceva sempre di no - Francesco Satanassi (ed. 2019)


Il libro inizia con una citazione di Beppe Fenoglio tratta da “Una questione privata” del 1963 e fa capire al lettore che tipo di storia si troverà davanti: la storia dei soldati italiani deportati a seguito dell’armistizio del 8 settembre 1943.

Dopo diversi tentativi di trovare un editore e un cambio di titolo (Il barbiere del lager) Francesco Satanassi decide di autoprodursi e distribuire “Mio nonno diceva sempre di no”: il diario di Balilla Gardini (e nonno dell’autore), soldato del regio esercito che nel ‘43, dopo aver deposto le armi e rifiutato di collaborare con i tedeschi, verrà internato insieme ad altri 650.000 fino alla fine della guerra, sotto l’acronimo IMI (internati Militari Italiani).

La difficoltà di trovare un sostegno editoriale per questa storia, come scopriamo subito, è soltanto l’ultimo tassello di una damnatio memoriae riservata ai soldati dell’IMI che è andata avanti da quell’infausto 8 settembre del 1943.

“Non è più un tema d’attualità”, “Manca l’interesse”, “I lettori preferiscono storie in cui succede qualcosa, e qui non c’è molta azione” (che si può anche leggere come “non ci sono abbastanza martiri, o sacrifici, o morte") sono le ragioni, dette e sottointese addotte a un libro che è un pugno allo stomaco e che senza moralismi racconta quello che fu e quello che è stato, scientemente, dimenticato.

C’era un modo per i soldati italiani dopo l’armistizio per sfuggire alle torture fisiche e psicologiche dei lager, per sottrarsi alla fame, alle malattie, alla morte per sfinimento o a quella per essere usciti dalla fila a raccogliere qualche buccia di patata per zittire uno stomaco avvelenato: firmare da collaborazionisti il reintegro e tornare a casa, servire il ricostituito esercito fascista della RSI (Repubblica Sociale Italiana) al fianco dell’alleato nazista.

Questo libro parla di una resistenza immobile, di un grido di ribellione silenzioso, scandito con il rifiuto, con la forza di una sillaba pronunciata restando fermi, sicuri della sofferenza che essa avrebbe portato: NO. Portateci in Germania, fateci mangiare segatura, fateci lavorare fino allo sfinimento. Sopporteremo il freddo pungente e i morsi della malaria, tutto pur di non entrare negli incubi vividi di altri innocenti. Noi resistiamo.

Il testo, ricco di informazioni storiche utili e comprendere il contesto in cui Balilla Gardini racconta, è disseminato da citazioni di autori come Tonino Guerra, Lorenzo Scarponi, Raffaello Baldini, Alessandro Natta, Primo Levi, Daniele Benati che, non solo hanno il merito di infondere maggior autorevolezza al tutto, ma anche quello di ricordare che questa storia non è isolata, unica e solitaria ma che erano tanti, in quei giorni, a provare le stesse emozioni, a vivere gli stessi orrori, a tremare delle stesse paure e a sperare gli stessi ritorni.

Se ancora ce ne fosse bisogno, “Mio nonno diceva sempre di no” fa cadere il velo sulla propaganda fascista, rivelandone le menzogne e scoprendo un gigante coi piedi d’argilla.

Furono 650.000 i soldati italiani che scelsero di dire di no e a subire un trattamento più crudele e spietato rispetto agli altri prigionieri di guerra. I soldati italiani erano considerati alla stregua dei pidocchi, traditori senza valore a cui si poteva negare tutto, compresa la memoria. Grazie a Francesco Satanassi e Balilla Gardini possiamo ricordare quanto gli IMI, internati militari italiani, fossero stati prima ingannati con false promesse di rientro in Italia, poi internati e fatti morire di stenti e infine, per coloro che ritornarono, guardati con sospetto dai propri connazionali e dimenticati, cancellati dalla storia di un’Italia che non fu unita nemmeno nel dolore e nel ricordo.

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Per contattare Francesco Satanassi: Tumblr, Facebook, Instagram, oppure puoi scrivergli direttamente alla mail: checcosata@gmail.com

Trovi Mio nonno diceva sempre di no anche su Spotify, qui.

lunedì 25 gennaio 2021

Il bollettino dell'Andaluso: settimana 11 (18-24 gennaio 2021)

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giovedì 21 gennaio 2021

Dentro il libro e oltre: A beautiful mind

 


Dopo la Regola di Platino arriva la regola d’oro, anche detta MSU o, per coloro che per allacciarsi le scarpe cercano un tutorial su Youtube o ricorrono al vecchio trucco dei coniglietti, l’algoritmo Briatore-Gregoraci. MSU, l'acronimo dei requisiti che servono a uomini non molto prestanti e non più attraenti per accompagnarsi a top model dalle gambe chilometriche e il girovita azzerato: possedere una gran Macchina, avere un mucchio di Soldi e/o un Uccello di notevoli proporzioni. Se i primi due sono spesso uno la conseguenza dell’altro, il terzo invece va a sopperire la mancanza dei primi due. E di solito si manifesta in età non troppo avanzata (il soggetto dell’esempio è spesso povero in canna, brutto da conato e con una spolverata di scabbia a chiudere il cerchio) L’MSU non va confuso con il Marvel Cinematic Universe, o MCU, in cui, oltre ai villain, ci sono anche gli eroi. Nell’MSU, di eroi, non ce ne sono: solo stronzi per cui proviamo un'invidia che ci consuma  fino all’osso.

A nessuno di voi, ometti, è mai capitato? Lavorando al pubblico ne ho viste migliaia di coppie così, che mi lasciavano giganteschi punti esclamativi (leggi: improperi vari a ogni divinità del Pantheon) dopo il loro passaggio. Non sono certissimo che ci sia un fenomeno simile anche per il mondo femminile perché quell’universo gira con un moto di rotazione totalmente diverso, avulso da stronzate infantili ed egocentrismo da asilo nido. Fatevi comunque sotto, se mi sbaglio: analizzeremo insieme il fenomeno. 

La vita condivisa con altri scappati di casa come te per frequentare l’università. Anche di questo parla Chi più Re di noi, non solo della ricerca spasmodica della persona che veste perfettamente i panni della nostra metà platoniana e della cultura di una generazione e di un’età viste dall’interno, una cronaca tragicomica di un’umanità spiazzante. 

Per costruire una cattedrale maestosa sono importanti anche i grani di sabbia con cui si impasta il cemento, per questo, se vuoi nutrirti, prima o poi, dovrai per forza recarti a fare la spesa. Smettila di incularti le razioni dei tuoi inquilini. Non va bene, e poi se ne accorgono. Devi occuparti delle faccende e di te stesso, non c’è la mamma che ti sta dietro al culo per pulirtelo. Ma le maglie sono larghe quando non c’è un genitore a controllare e quindi ti puoi permettere anche di uscire con una maglia non stirata o con il letto sfatto per tutta la settimana che "stasera ci ritorno e si guasta di nuovo, tanto vale lasciarlo così”. Ci inzingariamo un po’, ci punkabbestiamo un attimo, il giusto per rollarci uno spinellino e calarci in un sogno ad occhi aperti ovattato e lento, dove tutto ci fa ridere e dove non si riesce a pensare alle cose tristi che ci opprimevano con l’angoscia della sobrietà. 

Ma sto divagando.


In “A beautiful mind” troviamo Spanky intento a stilare la sua lista della spesa, sulla lavagna dell’appartamento, per poi andare al supermercato In’s sottocasa e comprare le sottomarche delle sottomarche del cibo vero. La rendita mensile genitoriale va saputa dosare e sfruttare per altre cose, più importanti di un’alimentazione salutare ed equilibrata. 


La dieta dell’universitario fuorisede, come già raccontato nel capitolo dedicato a “Nightmare on 666 st.” consiste principalmente in repliche scrause di ricette tradizionali familiari o surgelati precotti da far rinvenire male in un vecchio microonde rotto che, oltre a scaldare il cibo, rielabora il DNA di coloro che vi si trovano a sostare a meno di un metro e mezzo. 

Nella lista della spesa Enrico segna anche lo yogurt Yomo con i pezzi di frutta e le praline di cioccolato, quelle che erano chiuse nella cupola di plastica sopra il barattolo e che, inspiegabilmente, hanno smesso di produrre. Lo mangiavo sempre da piccolo. Era il mio preferito. Se ricominciassero a farlo certo avrei bisogno di comprare un secondo frigorifero. I sapori che abbiamo amato nella nostra infanzia ci restano cari a vita.

Ve lo ricordate quel mitico yogurt o è stato solo una mia fantasia onirica? (Non ho trovato testimonianza fotografica a riprova della sua esistenza e quindi mi vengono i dubbi).

Veniamo alla parte citazionistica della puntata, quella che infarcisce tutto di easter eggs che Ready Player One scansati proprio.

Forse in “A beautiful mind” c’è la prima parodia di tutto il romanzo, meccanismo che ho ripetuto poi altre volte e non solo per scrivere una scena. A volte sono sfociate in interi capitoli (Un Natale da Guasconi) e in vere e proprie saghe (Saga di Fangio in 127 express e Noi, Re di vivi). La parodia non è sinonimo di scarsa inventiva o volontà di copiare il frutto dell’ingegno altrui per guadagnare in qualità artistica e appetibilità, per niente, si tratta di un divertissement, come mettersi un addosso un costume di carnevale e andare a una festa. Serve per sorridere, per farsi quattro risate in allegria. Il film parodiato in questo caso è Le Iene, di Quentin Tarantino e nello specifico, la scena della riunione pre-rapina quando vengono assegnati i nomi in codice, la ricordate? 

Ve la ripropongo.



In questo caso è Zanna che distribuisce agli altri inquilini i colori per scrivere alla lavagna. A Tetteballerine capita, guarda caso, il colore rosa e se ne lamenta, cercando di proporne un altro o di fare a cambio. Ma Zanna resta nel personaggio, e lo asfalta, mingherlino e debole com’è perché in quel momento lui è il capo e gli altri muti. Da leggere. 

Poche volte lo vedremo, nella vita di tutti i giorni, imporsi e non subire soprusi e volere altrui. Ma in fondo a Zanna non interessa, come sappiamo. Il suo è un mondo altro e quello che succede nel nostro, o quello che succede a lui per effetto del nostro, lo tocca solo marginalmente. A meno che non gli venga spezzato il cuore. Perché Zanna, anche lui, cerca l’amore e la felicità di una persona che lo completi. Tutto il suo mondo parallelo quindi è sia rifugio che condanna. Condanna perché non potrebbe sostenersi senza essere alimentato dai pensieri felici del suo creatore e rifugio perché è là che Zanna fugge quando il tempo volge al brutto. Viverci costantemente significa anche essere meno preparato ad affrontare la realtà quando è costretto a uscirci per, che ne so, andare a fare la spesa.

C’è anche spazio per un telefilm che ho molto amato e che mi è molto caro: Quantum Leap. Mi ha tenuto compagnia durante le mie vacanze estive dal liceo, insieme a Moonlighting e Ally MacBeal. Lo avete mai visto? Temo che sia una di quelle cose sconosciutissime che ho avuto la fortuna di guardare solo io e uno scampolo di pochi altri disperati. Lo davano su raidue/raitre e io me ne beavo evitando di pensare alle fatiche di un lavoro che mi stressava e che non mi piaceva, alla solitudine dei giorni d’estate così depressi e al fatto di inseguire il cuore di qualcuno che non ricambiava. Quello o, in alternativa, il fatto di essere proprio solo come un cane, interrogandomi su cosa cavolo continuassi a sbagliare. 

Quantum Leap parla di uno scienziato (interpretato da Scott Bakula) che, a causa di un incidente durante un esperimento viene risucchiato dentro un loop di salti temporali in cui, ad ogni puntata, la sua coscienza entra dentro il corpo di un uomo (o una donna) a cui deve salvare la vita. A buona azione compiuta, il dottor Samuel Beckett è costretto a ripartire e ricominciare tutto daccapo, nella speranza che il prossimo viaggio quantico sarà un ritorno nel suo corpo e alla sua vita. C’è anche l’ammiraglio Al (Dean Stockwell) a guidare Sam nei suoi viaggi, sotto forma di ologramma con il sigaro sempre a portata di inquadratura.


Sulla scia della sanità mentale suggerita dal pluripremiato film di Ron Howard con uno straordinario Russel Crowe, si citano Castaway, in cui Tom Hanks attribuisce un’anima a un pallone da pallavolo Wilson dopo essere naufragato sull’isola deserta su cui rimarrà per ben quattro anni; Qualcuno volò sul nido del Cuculo con la famosa scena del capo indiano che divelte un lavandino e lo scaraventa fuori dalla finestra; Il silenzio degli innocenti con Anthony Hopkins che si nutre di esseri umani, accompagnati a dell’ottimo Chianti. Compagni d'eccezione per uno Spanky che, distratto da Cecilia e Tetteballerine che chiedono numi sull'inquilina misteriosa di cui parla, credendolo fuori come un balcone, esce dal bordo della lavagna e scrive sulla porta finestra del soggiorno.

Non poteva che essere la canzone dei The George Baker Selection che apre il primo film di Tarantino il brano della colonna sonora di questo capitolo: Little Green Bag.





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martedì 19 gennaio 2021

Il bollettino dell'Andaluso: settimana 10 (11-17 gennaio 2021)

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Da oggi "Chi più re di noi" puoi trovarlo anche sul sito di Kobo se sei un lettore .epub come me! Vai al link https://bit.ly/3i9cRxt

Pubblicato da Alessio Chiadini su Martedì 12 gennaio 2021

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Pubblicato da Alessio Chiadini su Sabato 16 gennaio 2021

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Pubblicato da Alessio Chiadini su Sabato 16 gennaio 2021

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Pubblicato da Alessio Chiadini su Domenica 17 gennaio 2021

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Pubblicato da Alessio Chiadini su Domenica 17 gennaio 2021

venerdì 15 gennaio 2021

Dentro il libro e oltre: Zanna e la pantera

 



“Zanna e la pantera” è il capitolo con cui conosciamo meglio Zanna, e lo facciamo davvero senza pudori. In verità non credo che esista la “Sindrome da Polluzione Istantanea” o SPI ma è certo che Zanna ne soffre. Questo disturbo lo coglie durante la notte quando la sua mente è impegnata a intrattenerlo con sogni ad alto tasso erotico. 

A posteriori è interessante notare la dicotomia delle due anime di Zanna, quella conscia e quella inconscia. Nella vita di tutti i giorni, come sappiamo, Zanna è avulso dal pensiero del sesso in senso prettamente istintuale e carnale: è un geek che se avesse pensieri erotici, questi avrebbero comunque una castità alla Star Trek, la serie originale. Baci a stampo all’aliena di turno da parte di un sempre carismatico capitano Kirk e basta, senza scene di sesso che nel 66 c’era l’apartheid sessuale tra specie diverse (NDR: con questo non voglio dire che Kirk non facesse tonnellate di sesso. Ne faceva, ma siccome in tv non veniva mostrato Zanna era convinto che fosse il bacio lo stadio finale di ogni rapporto di accoppiamento)


Il termine “copula” non è previsto nel programma esistenziale di Zanna, almeno non lo era fino a quando non non ha incontrato Tetteballerine. Sa che un altro sesso esiste e ne sente l’attrazione, ma come un antico che guardando il cielo stellato vedeva la Luna, non aveva idea di come potesse stare su, né se fosse possibile arrivarci. Il subconscio di Zanna, però, non è d’accordo con le scelte razionali della controparte e di notte lo ha preso per un idrante e gli fa fare sogni sconci e spinti che lo incendiano come una torcia umana.

Quello che scopriamo poi è che Zanna è pastafariano da quando il pastafarianesimo non era ancora di moda. Convertitevi tutti, non ve ne pentirete. Noi lo abbiamo fatto.

Prima di passare al tema centrale e cardine di oggi, la “Pantera”, ci spostiamo un secondo per abbandonarci al frivolo divertimento della caccia alla citazione. Sapete che lo faccio per mio esclusivo divertimento e perché proprio non riesco a non respirare, pensare, farmi ispirare e scrivere omaggiando i miei romanzi, libri o serie preferite. Come ha scritto Marco Guardanti nella prefazione a Chi più re di noi, sono vittima del fenomeno della rimediazione, un po’ per la struttura e per lo stile del romanzo (come una sitcom alla Big Bang Theory o alla How I met your mother) un po’, appunto, per il largo impiego di citazioni, più o meno celate all’interno della narrazione.

Ho usato uno dei mie film preferiti per raccontare quale sia la situazione al risveglio nella camera di Spanky, Tetteballerine e Zanna (sì, stanno in una tripla) raccontando come ci sia qualcosa che fluttua a “un metro e venti sopra le coperte”. In Ghostbusters del 1984 la battuta la diceva Bill Murray spiegando come la cliente (Dana Barrett, alias Sigourney Weaver) fluttuasse sopra il proprio letto a causa della possessione in atto da parte del demone Zuul, mentre io l’ho usata per descrivere l’alazabandiera dei tre maschietti, risvegliati nel bel mezzo di sogni libidinosi. E bhè, lavoriamo con quello che abbiamo (la mia stupidera, ovvero "Manifestazione ripetuta di immaturità, specialmente con atti o discorsi sciocchi e superficiali, tipica dell'adolescenza" Dizionario Zanichelli, ed. 2009).



Per descrivere lo Zanna onirico, oltre a definirlo come un Terminator programmato per bombare che non si ferma di fronte a nulla, ho deciso di far esplodere l’immaginazione dei lettori piazzandoci una citazione con la carica distruttiva di dieci bombe atomiche e SBAM! L’asteroide si spacca a metà come un paio di gambe e Zanna si immola alla libido (e alla sua polluzione imbratta-lenzuola). Vinciamo noi, Grace (Armageddon).


C’è anche spazio per Full Metal Jacket di Kubrick e la battuta sui tori e sulle checche, così iconica da essere copiata poi da altre decine e decine di film di guerra.


MIB, il primo Men in black, viene parafrasato quando descrivo l’alienazione di Zanna rispetto al mondo reale (gli alieni non hanno sempre un gran travestimento ma sono tra noi). Ricordate l’umano emaciato e smunto coi lunghi capelli bianchi a cui si accompagnava quel calrino incazzereccio di nome Frank? Battuta che poi viene ripresa sul finale, quando Jay inizia l’addestramento della nuova partner.


Per ultimo ma non meno importante è l’evocaizone del personaggio Pausammerda, direttamente dal film per teenager campione d’incassi American Pie e primo di una serie di sequel (che alla lunga avevano pure stufato) e un filone di cloni (anche peggiori).

American Pie fece per gli adolescenti degli anni 90 e 2000 quello che Il Laureato fece per quelli degli anni 60 e 70: sdoganare la figura della pantera/milf. Non sono qui per scrivere una voce enciclopedica che spieghi le differenze tra i due termini ma è importante che sappiate di cosa stiamo parlando, almeno a grandi linee. “Pantera” e “MILF” sono termini che indicano, sempre, una donna più adulta del suo partner sessuale. Solo che una dei due ha figli e l’altra, no. Eccallà. 


In tutti i maschi eterosessuali, dalla pubertà in poi, la figura della pantera entra prepotentemente nelle loro fantasie, nei loro sogni non confessati, nelle loro speranze. Almeno fino a quando non raggiungono un’età in cui per trovarne una è necessario cercare nelle case di riposo o ai ritiri parrocchiali. A quel punto la tendenza si inverte e il focus si sposta sulle ventenni. Come genere, quello maschile, è effettivamente un po’ disgustoso, patetico e viscido, non posso dire il contrario.

In ogni caso, la parte ascendente dell’esistenza è, per i ragazzi (vigorosi e senza peli nelle orecchie), stimolante, divertente e avventurosa (quanto ci piace raccontare agli amici le nostre imprese? Non si tratta di vantarsi, ma di divulgare l’esperienza in modo che tutti possano godere degli insegnamenti ricevuti).

La Pantera, anche detta nave-scuola, è colei in grado di insegnare i trucchi dell’ars amatoria a quel lombrico tutto erezione che crede di tenere in mano una clava e avere il solo compito di sbatterla destra e sinistra e fare grugniti. Le pantere hanno un cuore grande e si donano senza remore o pudori vergognosi mettendo in piazza la fonte del vero piacere. Godere di un corpo giovane, fresco e prestante è anche per loro molto più divertente, più soddisfacente, più appagante. La pantera si adopera per vincere la timidezza di quel giovane uomo, aiutarlo a dosare timidezza e decisione, addomesticare la delicatezza nei modi e svestirlo degli imbarazzi infantili. Genera tenerezza, il giovane uomo, nelle dee dal tocco magico e il sorriso volpino e, probabilmente, un’eccitazione più pura e ardente, perché ormai abituate a uomini d’esperienza che hanno superato da tempo la fase delle vergogne e delle carezze prolungate e che non le trattano più come le regine che sono.

È per esperienza che parlo? Malandrini, non si dice! Piuttosto andate a leggere il capitolo (Link) per scoprire cosa vi aspetta (se mai sarete così fortunati) o per confermare il miracolo.

Chiudo questo post con la mia classifica personale di Pantere/MILF con cui sono cresciuto (che espressione strana, no?):


3-Christa Miller aka Jordan Summer di Scrubs


2-Jane Seymour in Due single a nozze (Kittycat!)





Ma prima di mostrarvi chi occupa la prima posizione del podio, è necessaria una menzione d'onore:
La moglie del preside del college di Animal House, interpretata da Verna Bloom.




E ora tenetevi forte perché arriva:

1-Margaret Whitton da Il segreto del mio successo


Proprio dal film del 1987 con protagonista Michael J. Fox arriva la canzone che fa da colonna sonora al capitolo “Zanna e la pantera”.

Iconica è la scena della limousine in cui il giovanotto (Fox), arrivato dalla provincia nella grande città deciso a fare carriera e soldi, sta accompagnando a casa la moglie di uno dei dirigenti della ditta e questa inizia a provocarlo con pose e gesti (il rossetto) che non lasciano dubbi sulle sue intenzioni. E il tema de “Lo squalo” quando, in piscina, lei si immerge per togliergli il costume e lui si agita in preda al panico. Storia del cinema (esagerato!). 

LEGGENDA!



Vai Demo, Musica!




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venerdì 8 gennaio 2021

Dentro il libro e oltre: Il letto, il bagno e...



 Il titolo del capitolo è preso pari pari, così come la canzone (17 again - Eurythmics), da una puntata di Will & Grace.

A differenza del taglio comico della serie, questa puntata in particolare ha un mood molto più introspettivo e, diciamocelo, abbastanza depresso. Non troverete quindi le solite battute brillanti e caustici botta e risposta ma una Grace in stato vegetativo avvolta in un bozzolo di coperte, lenzuola e lacrime perché la sua grande storia d’amore con Nathan, è finita. Will, Jack e Karen proveranno in tutti modi di tirarla su di morale ma alla fine dovranno arrendersi e, in qualche modo, resteranno coinvolti in quel vortice di emozioni catartiche che li porterà a domandarsi a che punto della vita hanno preso la decisione sbagliata.


La ricordo così nitidamente perché le storie malriuscite, in cui mi ritrovavo col cuore gonfio di pianto e gli occhi increduli a dipingere domande al buio di una notte artificiale, sono state il leitmotiv per gran parte della mia giovinezza. È stato facile immedesimarmi nella sofferenza di Grace e commuovervi di nuovo la prima volta che ho visto “Il letto, il bagno e oltre”. È stato come condividere un dolore con dei vecchi amici, a cui non dovevi raccontare niente. 

Ma veniamo a noi che già mi risale il magone. Nel capitolo di oggi, troviamo Spanky chiuso in bagno, non per volontà sua né del suo corpo che evita di assecondare la sua volontà ma a causa della forza poderosa del solito Tetteballerine e di quella volta che, per fare il bullo da film, ha dato un calcio alla porta per un’irruzione goliardica. E non pago di aver sbriciolato la serratura si è poi offerto di sistemarla da solo. Male.

È l’ultimo capitolo intimistico del romanzo perché appena prima della sua fine vedremo Tetteballerine e Cecilia tornare in appartamento dopo le vacanze estive mettendo un punto alla vita solitaria e noiosa di Enrico.

Essendo un racconto da una sola location c’è molto spazio per musica (2 brani invece che uno) e per le citazioni. 

Il povero Spanky cerca in tutti i modi e con ampio impiego della fantasia di liberarsi da quella prigione di porcellana, facendo anche appello alle conoscenze che ore e ore di film d’azione gli hanno instillato. Ovviamente gridare aiuto dalla finestra come un ossesso non sortisce alcun effetto nella domenica di una Bologna in cui i più devono ancora rientrare dalle ferie. Per questo dopo poco tempo le idee si fanno più strambe, come quella di defecare sul terrazzo sottostante convinto che “se qualcuno mi cagasse in casa io andrei a vedere. Con un ombrello ma ci andrei”. La citazione successiva arriva veloce come un proiettile: “…se sulla città piove merda…e chi chiamerai?”. Ve la ricordate anche voi quella mitica frase pronunciata da Bill Murray in Ghostbusters II?

Ma non è l’unica citazione proveniente dal film 1989 e questa mi piace di più, ma vi lascio l’ebbrezza di individuarla da soli (Qui).

Una volta aver rinunciato ai suoi propositi di fuga Enrico si rassegna e cerca di passare il tempo nel modo migliore possibile e, visto che ha lasciato il cellulare in camera (per questo gli è stato impossibile chiamare in soccorso il portiere, i pompieri, la guardia nazionale), i suoi occhi si posano su una delle copie di Cosmopolitan delle ragazze accanto alla borsa coi trucchi. 

Diceva John Lennon: la vita è ciò che ti capita mentre sei impegnato a fare altro”. Ed è proprio in questo modo che la visione stessa dell’esistenza, per il nostro protagonista, cambia in maniera radicale. Non gli riuscirà più, dopo questa giornata, di guardare le cose con il disincanto di prima. Sì, avete letto bene, non è un refuso: con la lettura di Cosmopolitan, per Enrico il mondo si accende di sfumature che prima non aveva. È un cieco che torna a vedere. La convinzione che l’universo femminile non possa essere compreso e che fosse un orizzonte che si allontana inesorabile non importa quanto a lungo cammini, si dissolve con il fruscio della prima pagina sfogliata.


Che gli uomini vengano da Marte e le donne da Venere e che sia impossibile per loro comprendersi pienamente è una verità che rimarrà immutabile fino alla fine delle ere ma grazie al periodico della Hearst Corporation, questa distanza di fondo risulta un po’ più colmabile. Almeno così i ragazzi possono mettere in scena spettacoli meno degradanti delle spacconate da macho in cui le donne sono scherzosamente (ma mica tanto) paragonate a degli elettrodomestici da cucina o dei parchi giochi per maschi adulti. Chi più Re di Noi parla anche di questo: mondi che non si comprendono, diversi in tutto ma costantemente attratti uno all’altro, destinati a completarsi all’infinito. Le spacconate dei maschi, ora lo sappiamo e lo possiamo dire ad alta voce, hanno una sola fonte: la paura di ciò che non si conosce, di ciò che si desidera senza sosta e che li fa sentire totalmente impotenti e in balìa della benedizione di una sillaba (Sì) o del castigo di un’altra (No). Ecco una verità lapidaria per le signore all’ascolto, che racchiude per intero l’universo maschile: anche se non lo diamo sempre a vedere, il nostro universo gira attorno a un vostro e a un vostro no e tutto quello che facciamo, che creiamo, che sbeffeggiamo o adoriamo ha origine, scopo e fine in quell’attesa. Anche chi tratta le donne in un certo, ignobile e deprecabile modo fino alle conseguenze più estreme, lo fa guidato da quel principio. Solo che in quel caso c’è l’aggravante di un deficit emozionale e dialettico che, viceversa, aiuterebbe a superare l’impasse.

Il mondo femminile è complesso, stratificato e spesso contradittorio e l’organismo semplice costituito dall’uomo non ha nessuna speranza di farcela con le proprie forze. Cosmopolitan almeno è in grado di fornire spunti, di riflessione prima e di conversazione poi, che possano almeno accendere una luce su di lui. Non per forza una luce di interesse, ma almeno un lumino che rischiari l’oscurità più nera e lo faccia scorgere. Io sono un esempio di colui che non è mai stato in grado di instaurare una conversazione finalizzata e creare interesse in una ragazza che mi piaceva. Attaccare bottone poi, difficilissimo: serve faccia tosta, il momento giusto e una buona apertura. Non ho mai avuto nessuno dei tre e senza una buona base alcolica il solo pensiero di avvicinarmi e iniziare a parlare mi creava fastidiosi crampi allo stomaco. Bere ti può dare la faccia tosta, la fortuna la scelta del momento giusto ma la buona apertura ce l’hai solo con le regole ingovernabili del caos. Il mio non vuol essere un invito all’alcolismo ma quello che serve al giovane troppo preoccupato di fare tutto nel modo giusto senza averne esperienza è smettere di preoccuparsi, darci un taglio con il programmare e semplicemente andare. Io mi sono sempre preoccupato troppo del giudizio altrui, ne ero totalmente asservito e agivo di conseguenza. L’età adulta mi ha ammanettato al polso una ventiquattrore piene di “sbattecazzismo” e con quella passo attraverso situazioni che prima mi avrebbero scatenato l’ulcera.

Da piccolo non capivo quanti mi dicevano che per farmi notare dalla ragazza che mi piaceva dovevo fare come se non mi interessasse. Era un controsenso ma avevano ragione: se togli la paura di fallire dall’equazione, viene tutto molto più facile e le possibilità di successo aumentano esponenzialmente. Vivi libero dalle preoccupazioni, non chiudere la porta alle occasioni, fai quello che ti senti e fallo per te stesso, è l’unica cosa che conta e, soprattutto, ti rende molto più interessante, indomabile, desiderabile. Gli zerbini non piacciono a nessuno, alla lunga. Sono piuttosto noiosi. Tutti noi cerchiamo qualcuno che renda interessante la nostra vita, originale, non scontata. Amiamo l’avventura, uomini e donne.

Fuori da tutti questi sofismi, comunque, nel romanzo il consiglio che viene dato è quello di non respingere letture femminili perché, lette ad alta voce e con un po’ di malizia si può far scoppiare quelle bolle di sapone che tengono separati uomini e donne. Ridere dell’esistenza della ginnastica per il pavimento pelvico sdogana un argomento magari imbarazzante con una risata.

Quasi tutte le relazioni cominciano con una risata.



Fire in the twilight - Chaka Chung:

Direttamente dalla colonna sonora del film The Breakfast Club, ho inserito questa canzone perché, come i cinque protagonisti che sono costretti a passare un intero sabato in punizione a scuola, anche Spanky si trova a ballarla durante il suo isolamento forzato. Tutto merito dell'inquilino/a che abita l'appartamento di sopra che, invece di chiamare qualcuno che possa andarlo a salvare e farlo uscire dal bagno, la mette a tutto volume nel suo stereo. Cosa può fare, il nostro a questo punto, se non darci dentro come un Kevin Bacon bolognese?




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